Bashiqa, Iraq
Sara Manisera – Foto di Arianna Pagani
La strada che conduce alla linea del fronte di Bashiqa è piena di checkpoint. Per attraversarli bisogna sempre avere il giusto numero da chiamare. Una volta ottenuta l’autorizzazione, una strada sterrata e tortuosa sostituisce quella asfaltata, salendo sul lato destro della montagna. Dopo pochi chilometri sul sentiero s’intravede Mosul.
(Il fronte dei combattimenti a Bashiqa, venti km a nord rispetto a Mosul)
Il cielo è chiaro e le forze curde Peshmerga si stanno preparando per riprendere il controllo di Bashiqa, una città a circa venti chilometri a nord di Mosul, dove centinaia di yazidi, shabaak e cristiani sono scappati dopo che i miliziani dello Stato Islamico hanno preso il controllo della città nell’estate del 2014. Siamo all’interno della base militare dei Peshmerga con l’unità 70 dell’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), sulla linea estesa del fronte a un chilometro dalle prime posizioni dello Stato Islamico.
(Peshmerga curdi appostati a Khazir, 25 km da Mosul)
Tra i soldati del PUK, ci sono numerosi uomini anziani. Per la maggior parte di loro questa è la terza guerra. Hanno combattuto contro Saddam e contro gli uomini Peshmerga del Partito Democratico del Kurdistan, il partito rivale del PUK. Anche per il colonello Zavaty, nome di battaglia, questa è la terza guerra. “Spero che sia l’ultima”, dice in perfetto francese. Lui è curdo ma da anni vive in Svizzera. Non indossa l’uniforme militare ma il tradizionale vestito Peshmerga color sabbia. “Sono venuto qui perché è mio dovere proteggere la mia terra e la mia gente” spiega, imbracciando un fucile.
(Khazir, Iraq. Un militare della Golden Division, le forze speciali irachene antiterrorismo)
Lunedì 17 ottobre, alle prime luci dell’alba, è iniziata l’offensiva guidata dall’esercito iracheno e dai Peshmerga, sotto il cielo coperto dalla coalizione internazionale per la riconquista di Mosul, la roccaforte dello Stato islamico. Bashiqa è uno dei fronti più complicati e sensibili. Su questo fronte ci sono numerosi attori coinvolti: le forze curde Peshmerga divise nei due partiti PDK e PUK, l’esercito iracheno, le forze speciali irachene antiterrorismo – la Golden Division – addestrate dagli americani, le milizie turcomanne – le Guardie di Niniveh – addestrate dai turchi, soldati americani, canadesi ed esercito turco. Questi ultimi non stanno combattendo ma hanno schierato carri armati e artiglieria pesante lungo la linea del fronte, in mezzo a due avamposti militari del PDK e del PUK. Un soldato turco si avvicina mentre scattiamo le foto e ci obbliga a cancellarle. “Finora abbiamo un’ottima collaborazione con il PDK” continua il colonello “ma non stiamo avanzando molto rapidamente. Ci sono tunnel, ordigni esplosivi improvvisati e attacchi suicida con autobombe”, conclude.
(Bashiq. Nubi di fumo causate dai pozzi petroliferi dati alle fiamme dai miliziani di ISIS)
Nonostante i pesanti attacchi subiti dallo Stato Islamico, le truppe irachene e curde – secondo le stime, circa 30.000 impiegate su tutta l’offensiva – hanno riconquistato quasi sessanta villaggi nella prima settimana dell’offensiva, in particolare dal fronte est di Mosul. “Questo è un conflitto differente” spiega il colonello “prima la guerra e la battaglia era corpo a corpo ma oggi non riesci più a vedere il tuo nemico. Questa è una lotta contro l’ideologia. Per questo sarà più lunga perché Daesh non si arrenderà così facilmente”, racconta il colonello.
(Peshmerga del PDK e del PUK nelle alture di Bashiqa)
L’offensiva, iniziata lo scorso lunedì, è appoggiata dalla coalizione internazionale a guida americana che sta conducendo bombardamenti aerei sulle postazioni dello Stato Islamico aiutando l’avanzata verso Mosul. Ci si aspetta che questa sarà la battaglia più grande in Iraq dall’invasione americana nel 2003. Mosul, la seconda città più grande dell’Iraq, è sotto il controllo dello Stato Islamico da più di due anni e, secondo le stime delle Nazioni Unite, ci sarebbe più di un milione di civili ancora intrappolati all’interno.
(Peshmerga del PDK e del PUK nelle alture di Bashiqa)
L’operazione è stata caratterizzata da una massiccia e orchestrata campagna mediatica. All’inizio le aspettative per riprendere la principale roccaforte dei jihadisti nel Paese erano molto elevate ma dopo una settimana la battaglia sembra più cruenta e il nemico più forte del previsto.
(Un soldato delle forze regolari irachene ad Al Qayyara, a sud di Mosul)
L’esercito iracheno e i Peshmerga hanno perso numerosi soldati a causa della resistenza dei combattenti dell’ISIS. Secondo una dichiarazione non ufficiale di un soldato Peshmerga, solo in un giorno ci sono state più di quaranta vittime tra le truppe curde.
(Peshmerga curdi nelle alture di Bashiqa)
In questa prima settimana, un soldato americano è rimasto ucciso, due giornalisti sono morti dai colpi di un mortaio e da un cecchino, un altro è in coma e un fixer e un fotografo del New York Times sono rimasti feriti. I terreni sono pieni di mine e i villaggi fantasma riempiti di esplosivi e ordigni.
(Khazir, Iraq. Il generale dell’esercito iracheno Talib Shaghati, comandante delle forze anti-terrorismo che hanno liberato la città di Bartella)
I Peshmerga e l’esercito iracheno raccontano di aver trovato bombe artigianali nei frigoriferi, nei libri, nei giocattoli, in ogni casa che stanno bonificando. Venerdì e sabato scorso (21 e 22 ottobre, ndr) i miliziani dello Stato Islamico hanno lanciato un attacco a Kirkuk e hanno incendiato l’impianto di zolfo tra Qayyarah e Hamman al Alil, a settanta chilometri da Mosul.
(Gwer, Iraq: area presidiata dalle forze regolari irachene)
I militanti dello Stato Islamico stanno usando tattiche diversive – cellule dormienti, attacchi suicidi, cecchini – con lo scopo di distogliere l’attenzione e confondere l’avversario dai fronti principali. La battaglia per la liberazione di Mosul e delle altre città abitate ancora dai civili non sarà così facile com’è stata dipinta. Potrebbero impiegare settimane o mesi.
(Qaraqosh, Iraq. Razzi e granate in uno degli arsenali militari lasciati incustoditi dai miliziani di ISIS dopo la fuga)
Mentre il colonello Zavaty continua a parlare, si sente un fragoroso boato. È l’esplosione di un’autobomba lanciata dai jihadisti verso le truppe curde. I Peshmerga rispondono con razzi Katyusha, artiglieria pesante e mortai. Nell’aria si respira un odore pungente di fumo e di piombo. Poco dopo il cielo si oscura. Una colonna di fumo nero sale dalle posizioni dell’ISIS. Stanno bruciando il petrolio per ostacolare i curdi e bloccare la visuale ai bombardamenti della coalizione.
(Qaraqosh, città liberata da ISIS dove sono ancora in corso combattimenti)
L’operazione è fermata ma i comandanti curdi sono comunque soddisfatti dall’avanzata. “Va bene, siamo sereni e i soldati hanno un buon umore”, afferma Harem Agha, generale del PUK a Bashiqa. “Forse ci vorrà più tempo di quello previsto ma senza ombra di dubbio sconfiggeremo Daesh”. E alla domanda: “Siete disposti a morire per i sunniti?”, il generale risponde: “No, solo per il Kurdistan”.
(Un miliziano delle forze paramilitari sciite che operano nella provincia di Ninive)
Nonostante l’accordo fatto dal primo ministro iracheno Haider-al Abadi e il presidente del Kurdistan iracheno Massud Barzani per cooperare nell’offensiva di Mosul, restano numerose incertezze sul ruolo della Turchia e delle altre fazioni e milizie. La Turchia sostiene che l’impiego delle milizie sciite sposterà la popolazione sunnita dalle tradizionali aree d’insediamento. Per questa ragione, l’esercito turco ha addestrato i combattenti sunniti, chiamati Guardie di Niniveh, e ha inviato le proprie truppe nella regione di Bashiqa. In realtà la Turchia vuole mantenere un piede nel territorio iracheno. Recep Tayyip Erdogan crede che Mosul appartenga alla sua area d’influenza e pertanto lui si elegge a “protettore” della comunità sunnita.
(Un veicolo con a bordo miliziani sciiti avanza in direzione di Karamless)
Dopo la sconfitta del nemico comune, lo Stato Islamico, quale sarà il futuro di Mosul e dell’Iraq? Nell’ultimo anno importanti città e regioni, come Fallujah, Tikrit, Ramadi e il Sinjar sono state riconquistate, ma quante persone sono ritornate nelle loro case? E soprattutto, chi ha ripreso il controllo e la gestione di questi territori? A Mosul, le minoranze etniche e religiose – assiri, caldei, yazidi, turcomanni, shabaak, – sono fuggite dalla città e ritorneranno solo se si sentiranno sicure e protette. Il problema, tuttavia, non è solo per loro. È anche per quel milione di persone intrappolate e assediate all’interno della roccaforte dell’ISIS da più di due anni.
(Civili in fuga da Al Qayyara, a sud di Mosul)
La responsabilità di proteggere i civili spetta al governo di Baghdad e al suo esercito. Le istituzioni, tuttavia, non godono della fiducia dei cittadini perché li hanno lasciati nelle mani dello Stato Islamico senza proteggerli. Senza fiducia il supporto da parte della popolazione civile durante la liberazione potrebbe venire meno. Il futuro di Mosul dopo la sconfitta di ISIS è ancora incerto e molto dipenderà da chi sarà coinvolto nella battaglia finale e se i civili saranno protetti.
(Un soldato delle forze regolari irachene alle porte di Karamless)
In un’intervista, il generale maggiore della Golden Division, Fadhil Jalil al-Barwari, ha dichiarato che non permetteranno alle milizie sciite di entrare all’interno di Mosul, tuttavia la situazione sembra differente sul terreno. Su numerosi veicoli militari dell’esercito iracheno sventolano le bandiere sciite, dimostrando la divisione settaria all’interno delle istituzioni che dovrebbero risolvere la crisi. Se la liberazione sarà condotta dalle milizie o dall’esercito regolare che probabilmente useranno violenza settaria, il conflitto riemergerà dopo pochi mesi, innescando una guerra senza fine.
L'articolo ESCLUSIVO: REPORTAGE DA MOSUL. La prima linea del conflitto sembra essere il primo su .
Fonte:
http://www.lookoutnews.it/iraq-mosul-isis-reportage-foto/