di Luciano Tirinnanzi
Dopo una lunga ed estenuante campagna elettorale, dove non sono mancati colpi di scena e soprattutto colpi bassi, il tycoon newyorchese è riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti, come . Con 305 grandi elettori contro 233 e oltre un milione di elettori totali in più, Donald Trump si aggiudica la Casa Bianca. Decisivi gli Stati di Florida, Ohio, Michigan, Wisconsin, Iowa e Pennsylvania, che ha dato la spallata finale assegnando la vittoria ai repubblicani.
Ancora alle ore 4 del mattino (ora italiana) non si è definita la marcia trionfale del vincitore, ma Trump ha mantenuto sin dall’inizio il vantaggio in Stati chiave come Ohio, Florida e Virginia, quest’ultima andata poi alla Clinton. La fascia centrale dell’America che va dal Montana fino al Texas, come previsto, è andata ai repubblicani e si è colorata sin da subito di rosso. I democratici hanno mantenuto i loro feudi nella fascia occidentale ma non altrove.
La battaglia è stata combattuta contea su contea, voto su voto, elettore su elettore, almeno fino alle tre del mattino. Poi la svolta con la Florida, le borse mondiali che entrano in territorio negativo, la Clinton che ringrazia preventivamente lo staff, l’aumento dell’oro, l’apertura di New York in pesante negativo, il peso messicano che si deprezza. Reazioni in parte attese ma puntualmente verificatesi, che hanno aggiunto a questa tornata elettorale un finale da thrilling.
Il testa a testa è durato sino alle cinque del mattino, quando a gettare nello sconforto i democratici è stata la dichiarazione della vittoria di Trump in Ohio, Michigan e Florida, con i repubblicani che si sono garantiti una maggioranza al Congresso in entrambe le camere. Da quel momento è cambiato tutto. Confermando gli stati repubblicani, il tycoon è andato oltre. Nella Trump Tower di New York il momento storico è stato festeggiato intorno alle sei del mattino. Come previsto da Lookout News, Trump ha davvero scavalcato i pronostici contrari ed è andato oltre le più rosee aspettative, conquistando la Casa Bianca.
Quella del 2016 è stata una campagna presidenziale virulenta e divisiva, che ha dimostrato come l’America resti un paese diviso e mancante di coesione sociale. La maggioranza del popolo americano ha voluto punire il governo e l’Amministrazione dimostrandosi deluso dalla situazione attuale, dichiarando con quello che si è rivelato palesemente un “voto contro” la propria insofferenza per le istituzioni e la propria frustrazione per la condizione insoddisfacente del paese.
Per quanto riguarda le strategie dei partiti, i democratici hanno pagato l’aver sottovalutato il potenziale di Trump e l’aver ciecamente scelto Clinton sin da subito come propria candidata, nonostante la più che positiva performance di Bernie Sanders, che al suo posto avrebbe forse potuto infiammare le folle ridestando il popolo dell’asinello, ormai assuefatto dalla narrazione obamiana che non ha portato a casa i risultati promessi, né l’Obamacare né un aumento salariale diffuso ad esempio. Pur avendo ricevuto un endorsement mai visto prima dai media nazionali, la proposta della Clinton non ha convinto la classe media bianca, che l’ha osservata tiepidamente circondarsi di vip e banchieri.La middle class ha riservato la vendetta per le urne, premiando la nuova e inedita proposta del tycoon. A complicare la situazione generale, le influenti minoranze etniche d’America, neri e latinos, che non si sono recate in massa al voto come invece speravano i sostenitori di Hillary. Che hanno vissuto una conclusione amara, con la Clinton che si è rifiutata di commentare e ha lasciato parlare il portavoce John Podesta, che ha commentato alla platea dem: “contiamo i voti, andate a casa”.
Il 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America appare oggi un animale politico trasversale, ancora tutto da interpretare: un fenomeno inarrestabile da un anno a questa parte. Un mistero della politica statunitense. Un uomo che vince contro tutto e tutti. A cominciare dal suo stesso partito, che dopo averlo boicottato in ogni modo possibile, ora gli deve delle scuse e si prepara alle riverenze. A loro è andata molto bene: i repubblicani infatti ora possono vantare un controllo sul potere legislativo, avendo ottenuto la maggioranza al Congresso; sul potere esecutivo, al netto dell’imprevedibilità del presidente stesso; e anche giudiziario, visto che Trump dovrà nominare il nono giudice della Corte Suprema, decretando una maggioranza dei repubblicani anche in seno a questa istituzione, forse la più importante degli Stati Uniti, dove s’insedierà un conservatore. Non succedeva dal 1928. Trump ha vinto dal solo, e questo richiederà presto chiarimenti nel Grand Old Party e peserà nella scelta dello staff presidenziale.
Donald Trump viene eletto presidente il 9 novembre 2016, anniversario della caduta del muro e da oggi anche la data del reset politico statunitense. Trump non è un repubblicano e non rappresenta un profilo classico di presidente, è un presidente pieno d’incognite, determinato e scorretto, che ha in testa il lavoro e l’economia e mastica poco di relazioni internazionali. Ma a suo modo ha buttato giù un muro, dietro al quale non sappiamo ancora cosa si nasconda. Di certo, le dinastie Clinton e Bush sono ormai il passato. Anche per queste ragioni, con la famiglia Trump alla Casa Bianca, tutto diventa possibile. La sfida interna adesso è rendere l’”America great again”. Mentre per quanto riguarda le sfide esterne, lui e il suo staff sono destinati a segnare un cambio di passo importante per le relazioni internazionali della prima potenza mondiale. Da questa notte il mondo, a cominciare dalla Russia e dall’Europa, si chiedono cosa “The Donald” sarà capace di fare.
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Fonte:
http://www.lookoutnews.it/donald-j-trump-45esimo-presidente-degli-stati-uniti-america/