martedì 11 ottobre 2016

Turkish Stream e Siria: le ragioni del disgelo tra Erdogan e Putin

di Alfredo Mantici

 

Mentre l’opinione pubblica americana segue con sempre meno interesse una corsa alla Casa Bianca dominata più da velenosi battibecchi tra i due candidati che da un confronto serio tra differenti linee di politica interna ed estera, la Russia di Vladimir Putin e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan hanno avviato un disgelo delle relazioni che potrebbe portare a significativi mutamenti nell’assetto geopolitico mondiale.

 

Con una mossa che ha sorpreso le diplomazie occidentali, lunedì 10 ottobre a Istanbul Mosca e Ankara hanno firmato un accordo per la costruzione, a partire dal 2017, del Turkish Stream, un gasdotto di 910 chilometri che porterà il gas russo estratto dal Mar Nero direttamente in territorio turco e, negli anni a venire, in territorio greco.

 

Il progetto Turkish Stream e le tensioni Mosca-Ankara

Il progetto del Turkish Stream era stato concepito nel 2014 dopo la decisione dell’Unione Europea di interrompere i negoziati con Mosca per la costruzione del South Stream, un gasdotto destinato a far affluire direttamente nell’Europa meridionale il gas di produzione russa. Bruxelles aveva interrotto i negoziati nel pieno della crisi ucraina, accampando come scusa l’esigenza di privilegiare la ricerca di fonti di energia alternative ed “ecologicamente più compatibili” rispetto agli idrocarburi.

 

I negoziati tra Mosca e Ankara per la realizzazione del Turkish Stream si erano bruscamente interrotti nel novembre dello scorso anno quando missili turchi avevano abbattuto un jet militare russo che, durante una missione in Siria, era accidentalmente sconfinato nello spazio aereo turco.

Turkish_Stream

 

 

La reazione russa all’abbattimento dell’aereo era stata durissima. Il Cremlino aveva imposto severe sanzioni contro la Turchia, decretando l’interruzione delle importazioni di generi alimentari turchi, il blocco del turismo russo verso il Paese, pesanti restrizioni ai permessi di lavoro in Russia per cittadini turchi, la sospensione di ogni progetto di costruzione di infrastrutture industriali in Russia da parte di aziende turche e, appunto, l’interruzione della pianificazione della realizzazione del Turkish Stream.

Dopo l’abbattimento del jet russo le relazioni tra Ankara e Mosca erano così scese ai minimi storici. Vladimir Putin, che aveva definito l’episodio “una pugnalata alla schiena”, appariva deciso a rompere i rapporti con il governo turco se non avesse ricevuto le scuse ufficiali da parte del presidente Erdogan, accusato di essere diventato un “alleato dei terroristi dell’ISIS”.

 

Le scuse ufficiali del governo turco sono arrivate nel giugno scorso, proprio quando il governo siriano di Bashar Al Assad, grazie al sostegno di Mosca, è sembrato in grado di riprendere le redini del controllo militare e politico della Siria devastata da cinque anni di una guerra civile durante la quale Erdogan si era direttamente impegnato a rovesciarne il regime appoggiando in modo tutt’altro che clandestino i suoi oppositori, jihadisti inclusi.

 

L’isolamento internazionale della Turchia

Dopo il tentato golpe del 15 luglio, di fronte allo scarso e imbarazzato sostegno ricevuto dai suoi alleati della NATO, il presidente turco si è probabilmente accorto di essersi fatto troppi nemici. In pochi anni, infatti, la Turchia ha visto fallire uno a uno tutti i propri obiettivi. A cominciare dall’intervento nella guerra civile siriana, su cui Ankara ha investito molto in questi ultimi anni nella speranza, rivelatasi poi vana, di ricoprire un ruolo di primo piano nella deposizione del regime di Assad allo scopo di diventare, finalmente, una potenza regionale riconosciuta, influente e rispettata, in grado di ampliare la sua presenza economica e militare in tutto il Medio Oriente e di contenere l’espansionismo iraniano.

 

I rapporti della Turchia con i suoi vicini e con i suoi alleati e amici – incluso Israele, con cui Ankara ha ricucito le relazioni a fine giugno dopo la crisi diplomatica causata dalla vicenda della Mavi Marmara nel 2010 – si sono deteriorati. Dopo la rottura con la Russia, anche con l’alleato storico, gli Stati Uniti, le relazioni si sono fatte tese per l’ospitalità offerta da Washington a Fethullah Gulen, il principale oppositore di Erdogan, da anni in esilio in Pennsylvania e giudicato uno degli ispiratori del tentato golpe dello scorso luglio.

 

Berlusconi_Putin_Erdogan(Berlusconi, Putin ed Erdogan inaugurano il gasdotto Blue Stream nel novembre 2005)

 

Anche con l’Unione Europea le relazioni si sono incrinate per la gestione del problema dei profughi presenti in Turchia e usati in modo spregiudicato dal governo turco per ottenere soldi in cambio della chiusura dei rubinetti dei flussi migratori provenienti da Siria e Iraq. Insomma, nel giro di un anno la Turchia si è trovata isolata, circondata a 360 gradi da nemici o non amici, con gravi problemi di sicurezza interna e preda di una crisi economica apparentemente senza sbocco.

 

La politica della distensione

Conscio di questa delicata situazione, all’atto del suo insediamento nel maggio 2016, il neo primo ministro turco Binali Yildirim aveva annunciato che era venuto “il momento di diminuire il numero dei nemici e aumentare quello degli amici”, un programma che aveva in cima alla scala delle priorità quello di restaurare le relazioni politiche ed economiche con Mosca. Mesi di negoziati hanno portato al risultato di ieri e alla riapertura del dossier sul Turkish Sream, un progetto il cui spessore politico è ben superiore rispetto alla pur importante apertura di una “superstrada dell’energia” tra Russia e Turchia.

 

Binali Yildirim(Il nuovo primo ministro turco Binali Yildirim)

 

“Sono convinto che il processo di normalizzazione dei nostri rapporti – ha dichiarato, rivolgendosi a Vladimir Putin, il presidente Erdogan dopo la firma dell’accordo sul gasdotto – continuerà in modo rapido. Le nostre relazioni miglioreranno in tutti i campi, dalla difesa all’industria, dalla cultura al turismo, dalla politica all’economia”.

 

Putin, dal canto suo, non si è fatto sfuggire l’occasione per capitalizzare il sostegno turco ai fini di una possibile soluzione del conflitto siriano all’indomani della rottura con Washington sulla situazione ad Aleppo. Seduto accanto al presidente turco, il capo del Cremlino ha dichiarato che “sia la Russia che la Turchia mirano a far finire lo spargimento di sangue in Siria. Sia io che il mio collega Erdogan siamo convinti che sia necessario ogni sforzo per portare aiuti umanitari ad Aleppo”.

 

Mentre l’Europa continua a latitare e gli americani sembrano concentrati solo ad assistere agli scontri verbali tra Donald Trump e Hillary Clinton, Russia e Turchia sembrano così pronte, all’ombra del Turkish Stream, a disegnare i nuovo futuri assetti geopolitici del Medio Oriente.

 

(Grafico Global Research)

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Fonte: http://www.lookoutnews.it/putin-erdogan-turkish-stream/

Roma 2024, il Coni ritira la candidatura: "Tutto fermo per motivi ideologici"

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Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha spiegato in conferenza stampa di aver inviato la lettera di "fine corsa" al Cio. "Da oggi smettiamo di pensare alla città di Roma". Ma le sue parole - "ora tanti auguri ..." - trasudano rabbia e suonano come una minaccia alla sindaca Raggi, vera vincitrice della contesa [...]

Autore: spreadgonzales | Categoria: Sport | Voti: 1 - Commenti: 0


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Matteo Renzi nei luoghi colpiti dal terremoto: "Non vi lasceremo soli". Il Consiglio dei ministri dà via libera al decreto

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Arquata del Tronto, poi Accumoli e infine Amatrice. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sarà stamattina nei luoghi del Centro Italia colpiti dal terremoto. "Penso che il nostro compito sia quello di assicurare" all'Italia "un futuro, non solo tanti bei ricordi", ha scritto Renzi nella sua e-news. "Lo ripeterò ogni giorno non solo a parole, ma con i fatti come quello di recarmi domani nei lu [...]

Autore: votAntonio | Categoria: Politica | Voti: 4 - Commenti: 0


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Elezioni in Marocco, si cerca l’intesa per la maggioranza

di Marta Pranzetti

@BlogArabaFenice

 

Le elezioni in Marocco per il rinnovo del parlamento hanno dato conferme e lasciato qualche incertezza. Lo scenario bipolare prospettato durante la campagna elettorale marocchina è stato confermato con il risultato del voto del 7 ottobre scorso per la nomina dei 395 deputati della Camera bassa dell’Assemblea legislativa (il parlamento nazionale).

 

Il duello tra il PJD (Partito di Giustizia e Sviluppo), al governo dal 2011, conservatore e di ispirazione islamista, guidato dal premier uscente Abdelilah Benkirane, e il PAM (Partito dell’Autenticità e della Modernità), formazione social-liberale e di centro sinistra, con a capo Iliyas El Omari e molto vicina al Re Mohammed VI, si è infatti concluso con la vittoria del partito islamista.

 

Il PJD ha ottenuto 125 dei 395 seggi della Camera e ieri, lunedì 10 ottobre, Benkirane ha ufficialmente ricevuto dal Re l’incarico di formare un nuovo esecutivo. Il PAM è arrivato secondo, conquistando 102 seggi, seguito con 46 seggi da Istiqlal (“Indipendenza”), partito nazionalista e conservatore.

 

Al netto di questi risultati, restano aperti i giochi per la composizione della nuova maggioranza di governo. In Marocco è in vigore un sistema rappresentativo proporzionale, con la soglia di sbarramento fissata al 3%, che dunque permette a un ampio numero di partiti politici di essere rappresentati alla Camera. Per tale motivo, il partito che si aggiudica le elezioni legislative deve necessariamente cercare l’appoggio di altre formazioni minori per creare un governo di coalizione.

 

Per ottenere l’incarico, dunque, il PJD dovrà ora riunire una maggioranza di 198 seggi. Nel caso in cui gli islamisti non riuscissero a formare una nuova compagine governativa entro i termini previsti, potrebbe farsi largo l’ipotesi di una riforma costituzionale attraverso la quale il Re potrebbe assegnare l’incarico a un membro del secondo partito attestatosi alle urne, vale a dire il PAM (ipotesi al momento remota).

 

Marocco_Re_Mohammed_VI(Il Re del Marocco Mohammed VI)

 

 

Le alleanze possibili

Se si tiene conto del fatto che, per ragioni ideologiche, i due partiti più forti sulla scena politica nazionale, PJD e PAM, hanno categoricamente escluso la possibilità di collaborare in un governo di coalizione, l’ago della bilancia potrebbe rivelarsi allora il partito Istiqlal, il cui appoggio tuttavia non basterebbe agli islamisti per ottenere la maggioranza assoluta.

 

Il PJD dovrebbe comunque poter contare sull’appoggio dei partiti PPS (Partito di Progresso e Socialismo,12 seggi) e MP (Movimento Popolare, 27 seggi), già presenti all’interno dei due precedenti governi Benkirane I (2011-2013) e Benkirane II (2013-2016).

 

Resta incerta la posizione dell’RNI (Raggruppamento Nazionale degli Indipendenti, 37 seggi), che pure era presente all’interno della coalizione del governo uscente. Una possibile alleanza con il PJD è ostacolata dalle spigolose relazioni tra Benkirane e Salaheddine Mezouar, leader dell’RNI, il quale ha rassegnato le dimissioni dalla direzione del suo partito nell’immediato post-elezioni.

 

Rabat_elezioni_2016(Cittadini al voto a Rabat, 7 ottobre 2016)

 

Con Istiqlal e RNI in sospeso, al PAM potrebbero invece allearsi i socialisti dell’USFP (Unione Socialista delle Forze Popolari, 19 seggi) e gli altri partiti minori già all’opposizione, oppositori dichiarati del PJD.

 

Nonostante ciò, lo scenario nel quale il partito vincente riuscirà a formare al primo tentativo una coalizione di maggioranza confermando il PAM alla guida dell’opposizione all’interno dell’emiciclo resta il più probabile. La ripresa dell’attività parlamentare, fissata al 14 ottobre, darà le prime concrete risposte in tal senso.

 

Certo è che l’immediata riconferma di Benkirane a capo di governo da parte del Re Mohammed VI mostra la volontà da parte della Casa Reale di mantenere inalterati gli assetti politico-istituzionali che hanno finora permesso al Marocco di superare indenne le primavere arabe del 2011. Pertanto, è fortemente probabile che nei prossimi cinque anni la monarchia punterà a consolidare il processo di stabilizzazione attraverso un nuovo governo di coalizione. D’altronde, per quanto il PJD declami il suo spirito rivoluzionario e antimonarchico, in questi anni si è sempre dimostrato molto collaborativo nei confronti dei regnanti, costituendo la più rassicurante delle alternative politiche, nell’ottica di mantenere inalterato lo status quo.

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Fonte: http://www.lookoutnews.it/marocco-elezioni-2016-nuovo-governo-benkirane/

Notizie dal produttore per il Samsung Galaxy Note 7

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Anche sui nuovi smartphone Samsung Galaxy Note 7 si è riscontrato il problema della batteria. Nuovi casi che costringono la Samsung ha rivedere i suoi piani [...]

Autore: compraretech | Categoria: Scienza e Tecnologia | Voti: 1 - Commenti: 1


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DiMartedì | Puntata 11 ottobre 2016 | Ospiti | Diretta ore 21.10

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DiMartedì: la puntata dell'11 ottobre 2016. [...]

Autore: Articolo3 | Categoria: Politica | Voti: 3 - Commenti: 0


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Colombia-FARC. Andate in Pace – LO SPECIALE

di Luciano Tirinnanzi

@luciotirinnanzi

 

La resa degli ultimi comunisti

Potrà sembrare molto distante da noi, ma l’accordo di pace siglato in Colombia tra Rodrigo “Timochenko” Londono, leader delle FARC, il gruppo armato più longevo e violento dell’America Latina, e il presidente Juan Manuel Santos, insignito per questo del Nobel per la Pace, ha un significato storico mondiale.

 

Già, perché con la fine dell’embargo cubano e le dimissioni di Fidel Castro, con l’eclissarsi del chavismo in Latinoamerica e ora con la deposizione delle armi degli ultimi rivoluzionari marxisti-leninisti, le “Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – esercito del popolo”, scompare definitivamente dalla mappa planetaria l’ultima bandiera di quell’ideologia comunista che ancora resisteva nella giungla sudamericana dopo un secolo e mezzo di vita.

 

Fatta eccezione per il maoismo nazionalista cinese e la devianza della dittatura nordcoreana, pur con tutti i dovuti distinguo oggi nessuna delle varie declinazioni politiche e applicazioni dottrinali della filosofia che fu di Karl Marx trova più spazio nella politica.

 

Colombia-FARC: lo Speciale di Lookout News

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Le istituzioni, i partiti, i rivoluzionari e persino i nostalgici hanno via via diluito nel tempo, quasi come fosse un ricordo, quel pensiero che solo fino a pochi decenni fa influenzava ancora pesantemente la vita di molte società ed era capace di smuovere i sentimenti delle grandi masse. Dopo essere entrato di diritto nella storia sociale dell’umanità e aver contraddistinto in particolare il secolo breve, insomma, il comunismo è ormai un concetto superato.

 

Anche la rossa Repubblica Popolare Cinese ha dovuto fare i conti con il capitalismo e con un’epoca dove il relativismo e il mercato sono tutto e dove gli ideali sono sempre più confinati in uno stretto recinto dal quale sembrano non poter più uscire. Tanto è vero che oggi sono semmai le religioni a essere tornate prepotentemente al centro dei più aspri dibattiti culturali e delle lotte rivoluzionarie (vedere la Siria per capire).

 

Con il Nobel per la Pace a Juan Manuel Santos, la comunità internazionale mette inoltre il cappello sulla fine di un conflitto ormai anacronistico, tentando di riequilibrare in favore della riconciliazione le sorti incerte della pace, dopo che il popolo colombiano ha bocciato nel referendum l’accordo sulla fine delle ostilità con le FARC.

 

La firma della pace a Cartagena decreta comunque un’importante evoluzione politica anche nel difficile contesto sociale del Sudamerica, dove per molti il marxismo-leninismo aveva rappresentato una speranza e una fuga dalle ingiustizie, e dove oggi restano in piedi battaglie molto più effimere, come la lotta alla corruzione o peggio quella tra cartelli per la produzione e smercio della droga, che è tristemente assurta al nuovo e assai più corrispondente al vero “oppio dei popoli”.

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Giornata Internazionale delle bambine e delle ragazze 2016: l’invito di Facebook

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In occasione della Giornata Internazionale delle bambine e delle ragazze dell'11 ottobre Facebook esorta i suoi utenti a non rimanere indifferenti. [...]

Autore: Robo71 | Categoria: Cultura e Spettacoli | Voti: 1 - Commenti: 0


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Cosa succede oggi nel PD

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Oggi a partire dalle ore 17 ci sarà a Roma la direzione nazionale del PD. Sarà un incontro piuttosto complicato perché diversi ex dirigenti del partito hanno dichiarato – chi già da mesi, chi negli ultimi giorni – che voteranno “No” al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. I giornali parlano di “spaccatura” nel Partito Democratico e dicono che probabilmente, per trovare una mediazione [...]

Autore: voxpopuli | Categoria: Politica | Voti: 3 - Commenti: 0


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