di Alfredo Mantici
Mentre l’opinione pubblica americana segue con sempre meno interesse una corsa alla Casa Bianca dominata più da velenosi battibecchi tra i due candidati che da un confronto serio tra differenti linee di politica interna ed estera, la Russia di Vladimir Putin e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan hanno avviato un disgelo delle relazioni che potrebbe portare a significativi mutamenti nell’assetto geopolitico mondiale.
Con una mossa che ha sorpreso le diplomazie occidentali, lunedì 10 ottobre a Istanbul Mosca e Ankara hanno firmato un accordo per la costruzione, a partire dal 2017, del Turkish Stream, un gasdotto di 910 chilometri che porterà il gas russo estratto dal Mar Nero direttamente in territorio turco e, negli anni a venire, in territorio greco.
Il progetto Turkish Stream e le tensioni Mosca-Ankara
Il progetto del Turkish Stream era stato concepito nel 2014 dopo la decisione dell’Unione Europea di interrompere i negoziati con Mosca per la costruzione del South Stream, un gasdotto destinato a far affluire direttamente nell’Europa meridionale il gas di produzione russa. Bruxelles aveva interrotto i negoziati nel pieno della crisi ucraina, accampando come scusa l’esigenza di privilegiare la ricerca di fonti di energia alternative ed “ecologicamente più compatibili” rispetto agli idrocarburi.
I negoziati tra Mosca e Ankara per la realizzazione del Turkish Stream si erano bruscamente interrotti nel novembre dello scorso anno quando missili turchi avevano abbattuto un jet militare russo che, durante una missione in Siria, era accidentalmente sconfinato nello spazio aereo turco.
La reazione russa all’abbattimento dell’aereo era stata durissima. Il Cremlino aveva imposto severe sanzioni contro la Turchia, decretando l’interruzione delle importazioni di generi alimentari turchi, il blocco del turismo russo verso il Paese, pesanti restrizioni ai permessi di lavoro in Russia per cittadini turchi, la sospensione di ogni progetto di costruzione di infrastrutture industriali in Russia da parte di aziende turche e, appunto, l’interruzione della pianificazione della realizzazione del Turkish Stream.
Dopo l’abbattimento del jet russo le relazioni tra Ankara e Mosca erano così scese ai minimi storici. Vladimir Putin, che aveva definito l’episodio “una pugnalata alla schiena”, appariva deciso a rompere i rapporti con il governo turco se non avesse ricevuto le scuse ufficiali da parte del presidente Erdogan, accusato di essere diventato un “alleato dei terroristi dell’ISIS”.
Le scuse ufficiali del governo turco sono arrivate nel giugno scorso, proprio quando il governo siriano di Bashar Al Assad, grazie al sostegno di Mosca, è sembrato in grado di riprendere le redini del controllo militare e politico della Siria devastata da cinque anni di una guerra civile durante la quale Erdogan si era direttamente impegnato a rovesciarne il regime appoggiando in modo tutt’altro che clandestino i suoi oppositori, jihadisti inclusi.
L’isolamento internazionale della Turchia
Dopo il tentato golpe del 15 luglio, di fronte allo scarso e imbarazzato sostegno ricevuto dai suoi alleati della NATO, il presidente turco si è probabilmente accorto di essersi fatto troppi nemici. In pochi anni, infatti, la Turchia ha visto fallire uno a uno tutti i propri obiettivi. A cominciare dall’intervento nella guerra civile siriana, su cui Ankara ha investito molto in questi ultimi anni nella speranza, rivelatasi poi vana, di ricoprire un ruolo di primo piano nella deposizione del regime di Assad allo scopo di diventare, finalmente, una potenza regionale riconosciuta, influente e rispettata, in grado di ampliare la sua presenza economica e militare in tutto il Medio Oriente e di contenere l’espansionismo iraniano.
I rapporti della Turchia con i suoi vicini e con i suoi alleati e amici – incluso Israele, con cui Ankara ha ricucito le relazioni a fine giugno dopo la crisi diplomatica causata dalla vicenda della Mavi Marmara nel 2010 – si sono deteriorati. Dopo la rottura con la Russia, anche con l’alleato storico, gli Stati Uniti, le relazioni si sono fatte tese per l’ospitalità offerta da Washington a Fethullah Gulen, il principale oppositore di Erdogan, da anni in esilio in Pennsylvania e giudicato uno degli ispiratori del tentato golpe dello scorso luglio.
(Berlusconi, Putin ed Erdogan inaugurano il gasdotto Blue Stream nel novembre 2005)
Anche con l’Unione Europea le relazioni si sono incrinate per la gestione del problema dei profughi presenti in Turchia e usati in modo spregiudicato dal governo turco per ottenere soldi in cambio della chiusura dei rubinetti dei flussi migratori provenienti da Siria e Iraq. Insomma, nel giro di un anno la Turchia si è trovata isolata, circondata a 360 gradi da nemici o non amici, con gravi problemi di sicurezza interna e preda di una crisi economica apparentemente senza sbocco.
La politica della distensione
Conscio di questa delicata situazione, all’atto del suo insediamento nel maggio 2016, il neo primo ministro turco Binali Yildirim aveva annunciato che era venuto “il momento di diminuire il numero dei nemici e aumentare quello degli amici”, un programma che aveva in cima alla scala delle priorità quello di restaurare le relazioni politiche ed economiche con Mosca. Mesi di negoziati hanno portato al risultato di ieri e alla riapertura del dossier sul Turkish Sream, un progetto il cui spessore politico è ben superiore rispetto alla pur importante apertura di una “superstrada dell’energia” tra Russia e Turchia.
(Il nuovo primo ministro turco Binali Yildirim)
“Sono convinto che il processo di normalizzazione dei nostri rapporti – ha dichiarato, rivolgendosi a Vladimir Putin, il presidente Erdogan dopo la firma dell’accordo sul gasdotto – continuerà in modo rapido. Le nostre relazioni miglioreranno in tutti i campi, dalla difesa all’industria, dalla cultura al turismo, dalla politica all’economia”.
Putin, dal canto suo, non si è fatto sfuggire l’occasione per capitalizzare il sostegno turco ai fini di una possibile soluzione del conflitto siriano all’indomani della rottura con Washington sulla situazione ad Aleppo. Seduto accanto al presidente turco, il capo del Cremlino ha dichiarato che “sia la Russia che la Turchia mirano a far finire lo spargimento di sangue in Siria. Sia io che il mio collega Erdogan siamo convinti che sia necessario ogni sforzo per portare aiuti umanitari ad Aleppo”.
Mentre l’Europa continua a latitare e gli americani sembrano concentrati solo ad assistere agli scontri verbali tra Donald Trump e Hillary Clinton, Russia e Turchia sembrano così pronte, all’ombra del Turkish Stream, a disegnare i nuovo futuri assetti geopolitici del Medio Oriente.
(Grafico Global Research)
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Fonte: http://www.lookoutnews.it/putin-erdogan-turkish-stream/