sabato 5 novembre 2016

La delicata ricetta dell’autunno: cheesecake alla zucca

zucca dolce

Un dessert autunnale dal sapore delicato, semplice da preparare, che piacerà a grandi e piccini!

Ecco la nostra ricetta.

 

Ingredienti:

150g cracker Graham (o biscotti Digestive)
20g zucchero di canna
cannella in polvere
113 g burro salato fuso
250 g crema formaggio temperatura ambiente
420 g purea di zucca
3 uova + 1 tuorlo d’uovo
50 g panna acida
300 g zucchero
cannella in polvere
noce moscata
chiodi di garofano
16 g farina
4 g estratto di vaniglia

 

Procedimento:

Preriscaldate il forno a 180°C e in un recipiente di media capienza unite il cracker sbriciolato, lo zucchero di canna e la cannella; aggiungetevi il burro fuso e versate l’impasto ottenuto in uno stampo a cerniera da 22 cm. Con l’aiuto di un cucchiaio appiattite il composto in modo da formare una base solida e compatta.

Per il momento mettete da parte la base, e sbattete con una frusta la crema di formaggio fino ad ottenere un composto liscio, a cui aggiungere la purea di zucca, le uova, il tuorlo d’uovo, la panna acida, lo zucchero e le spezie. Dopo aver aggiunto anche la farina e l’estratto di vaniglia, continuate a sbattere fino ad amalgamare il tutto.

È giunto il momento di versare il composto ottenuto nello stampo con la base, stenderlo uniformemente e mettere in forno per 1 ora.
Fatela riposare per 15 minuti, dopo averla tirata fuori dal forno, ricopritela con la pellicola trasparente e lasciate in frigo per 4 ore.

Tagliate e servite la vostra cheesecake alla zucca e preparatevi a fare un figurone!

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Fonte: http://www.veraclasse.it/ricette/cheesecake-alla-zucca_39044/

Libia: liberati i due ostaggi italiani Danilo Calonego e Bruno Cacace

di Rocco Bellantone

@RoccoBellantone

 

La Farnesina ha confermato oggi, sabato 5 novembre, che i due tecnici italiani della società Conicos, Danilo Calonego e Bruno Cacace, e il cittadino canadese Frank Poccia, sono stati liberati questa notte nel sud della Libia e hanno fatto rientro in Italia nelle prime ore di questa mattina con un volo dedicato. I tre uomini erano stati sequestrati a Ghat, nel sud-ovest della Libia al confine con l’Algeria, il 19 settembre scorso nei pressi del cantiere dove lavoravano da un gruppo armato che aveva bloccato la vettura sulla quale viaggiavano.

 

Dal giorno del sequestro dei due italiani e del collega canadese si sono rincorse voci e ipotesi sull’identità dei rapitori. Le autorità locali libiche avevano immediatamente puntato il dito contro predoni appartenenti alle bande armate che vivono di contrabbando di armi e di esseri umani a cavallo dei confini tra Libia e Algeria. Nella zona operano anche formazioni legate ad Al Qaeda e affiliate ad AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico). La più pericolosa di queste si chiama Al-Murabitun, comandata da Mokhtar Belmokhtar, un bandito da anni impegnato in traffici transfrontalieri (compreso il contrabbando di sigarette che gli ha fruttato il soprannome di “Mr. Marlboro”) che dal 2015 si è autonominato capo di Al Qaeda nell’Africa Occidentale.

 

Cacace_Calonego(Da sinistra Bruno Cacace e Danilo Calonego, foto Repubblica)

 

La banda di Belmokthar in passato è stata responsabile dell’assalto all’installazione petrolifera algerina di In Amenas compiuto nel gennaio del 2013 e conclusosi, dopo l’intervento delle forze armate algerine, con l’uccisione di 39 ostaggi e di 29 guerriglieri. Dopo questo episodio, apparentemente, Belmokhtar sarebbe tornato a dedicarsi ai suoi traffici tradizionali, senza prendere parte alla lotta che, nel resto della Libia, contrappone le milizie jihadiste alle forze schierate con il governo di Tripoli o con il generale Khalifa Haftar, il quale sostiene il parlamento di Tobruk.

 

A metà ottobre, una fonte delle forze di sicurezza algerine citata dal sito mediorientale Middle East Eyes, aveva dichiarato che il rapimento di Calonego, Cacace e Poccia era stato effettuato da una banda mista di delinquenti comuni libici e algerini che opera alla frontiera sotto il comando di un altro criminale algerino, Abdellah Belakahal. La stessa fonte dei servizi algerini aveva affermato che, in quei giorni, i rapitori avevano fatto giungere agli uomini dei servizi segreti italiani impegnati nella ricerca dei tecnici sequestrati la richiesta di un riscatto di quattro milioni di euro in cambio della liberazione dei tre ostaggi, minacciando, in caso di rifiuto, di “vendere gli ostaggi ad AQIM o a una cellula dello Stato Islamico”. I rapitori avevano chiesto anche la liberazione di due membri del loro gruppo armato, tra cui il fratello di Belakahal, da tempo in prigione per traffico di armi.

 

mappa_ghat

 

Sullo sfondo in queste settimane di prigionia dei nostri connazionali ha pesato inoltre la minaccia della loro “vendita” ad AQIM, a Bemokthar o all’ISIS, i cui miliziani negli ultimi mesi a seguito delle offensive contro Sirte e le altre roccaforti jihadiste nel nord della Libia, hanno riparato a sud cercando rifugio proprio nei deserti del Fezzan dove puntano a ricompattarsi con l’obiettivo di tornare a riconquistare porzioni di territorio libico e, possibilmente, nuovi pozzi di petrolio.

 

Fortunatamente il passaggio a gruppi jihadisti è stato impedito. Sempre a metà ottobre, un membro della municipalità di Ghat aveva detto che nei negoziati per la liberazione dei tre tecnici erano attivamente impegnati come intermediari membri delle più potenti tribù locali e che i negoziati erano a buon punto e avrebbero portato alla liberazione dei rapiti nei “prossimi giorni”. Alla luce della liberazione di Calonego e Cacace, quelle previsioni si sono rivelate credibili. Le autorità italiane sono d’altronde note in tutto il Medio Oriente e in Africa per l’atteggiamento di “disponibilità al dialogo” (vale a dire ad accettare di pagare un riscatto in cambio della liberazione di nostri connazionali) mostrato negli ultimi anni in analoghe vicende di rapimenti di nostri connazionali. Ed è dunque assai probabile, se non del tutto certo, che anche in questo caso il nostro governo abbia optato per il pagamento di un riscatto.

 

L’epilogo del caso era stato anticipato con largo anticipo dal Generale Mario Mori a Lookout News. “La zona di Ghat – spiegava a due giorni dal sequestro - è occupata politicamente da elementi che fanno riferimento al Governo di Accordo Nazionale del premier designato dalle Nazioni Unite Faiez Al Serraj. Questo esecutivo è sostenuto dall’Italia, motivo per cui esistono possibilità di dialogo sfruttando la collaborazione di elementi dell’intelligence che in questo momento opera al servizio del nuovo governo libico. È sempre meglio in questi casi fare operare chi conosce il terreno e le realtà locali. Agendo in maniera immediata con questi interlocutori possiamo sperare di ottenere qualcosa. Questa è l’unica via percorribile. Ma dobbiamo farlo rapidamente. È inutile girarci intorno. L’Italia è nota perché paga per ottenere il riscatto dei suoi connazionali sequestrati. Quindi, se decidiamo di mantenere questo tipo di impostazione, è meglio offrire subito qualcosa piuttosto che aspettare. Perché trattare con dei predoni terroristi è molto più difficile che trattare con dei semplici predoni”.

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Tumore gastrico: ogni anno 13 mila nuovi casi, importante seguire la terapia

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Il tumore allo stomaco è al sesto posto per incidenza, in egual misura tra uomini e donne. Ogni anno sono 13 mila i nuovi casi di carcinoma gastrico e altrettanti sono attesi nel 2016 in Italia. Sono questi i dati con cui si è aperto a Roma il I Convegno nazionale sul tema “Tumore gastrico: una sfida da vincere insieme” organizzato dall’Associazione “Vivere senza stomaco si può”, a cui hanno preso [...]

Autore: Afterburner | Categoria: Salute e Alimentazione | Voti: 1 - Commenti: 0


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Terremoto, via libera del Cdm al decreto per gli interventi urgenti

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Via libera del CdM al decreto urgente "Nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni e dei territori interessati dagli eventi sismici del 2016". [...]

Autore: Articolo3 | Categoria: Politica | Voti: 4 - Commenti: 0


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Corea del Sud: chi c’è dietro lo scandalo che coinvolge Park Geun-hye

di Priscilla Inzerilli

I retroscena dello scandalo che nei giorni scorsi ha investito la presidente sudocoreana Park Geun-hye sembrano scaturiti da una trama cinematografica. Il caso riguarda i legami controversi tra la Park e Choi Soon-sil, una donna senza alcun ruolo istituzionale, che avrebbe influenzato a tal punto le scelte della presidente da far parlare di vera e propria manipolazione, suscitando le proteste dell’opposizione politica e degli stessi cittadini.

 

La “burattinaia” Choi – così è stata rappresentata nel corso di una manifestazione organizzata dall’opposizione il 27 ottobre a Seul – è stata tratta in arresto lo scorso lunedì 31 ottobre, dopo aver ammesso spontaneamente le proprie colpe di fronte alla stampa e ai cittadini sudocoreani. La donna è stata accusata, insieme a un altro sodale, Ahn Chong-bum, di aver tratto vantaggio dalla propria amicizia con la presidente Park per ottenere donazioni multimilionarie da parte di alcune grandi aziende come Samsung e Hyundai, a favore di due fondazioni di sua proprietà. Choi avrebbe inoltre messo mano ai discorsi ufficiali della presidente e sarebbe intervenuta in praticamente tutte le questioni governative più importanti degli ultimi anni.

 

Già negli anni Settanta la futura presidente sudocoreana aveva subito l’influenza del padre della donna, Choi Tae-min, ex poliziotto, monaco buddista poi convertito al cattolicesimo e fondatore di una setta religiosa chiamata la “Chiesa della vita eterna”. Costui aveva avvicinato la giovane Park dicendole che la madre di lei, morta assassinata, gli era apparsa in sogno. La natura del legame personale tra la Park e Choi padre non è stata mai chiarita, anche se alcune voci di corridoio affermano che la Park abbia avuto un figlio da lui. Ma i servizi segreti di allora furono comunque in grado di svelare l’esteso sistema di corruzione che Choi Tae-min era riuscito a costruire grazie alla sua relazione con Park Geun-hye, figlia del generale ed ex presidente autoritario Park Chung-hee, anch’egli morto assassinato nel 1979.

 

Choi Soon-sil
 (Choi Soon-sil, la donna accusata di aver manipolato il presidente Park Geun-hye)

 

Sono state migliaia le persone che lo scorso fine settimana si sono radunate sotto la Blue House per gridare la propria indignazione nei confronti dello scandalo, pretendendo le dimissioni del presidente. In un estremo tentativo di riguadagnare la fiducia degli elettori, la Park ha deciso di operare un rimpasto di governo, destituendo diverse figure, tra cui lo stesso primo ministro Hwang Kyo-Ahn, ma stando agli ultimi sondaggi l’indice di gradimento nei suoi confronti è ormai di poco superiore al 10%.

 

L’onda d’urto dello scandalo, oltre a compromettere la stabilità politica interna del Paese, potrebbe avere serie ripercussioni sulle relazioni e gli accordi internazionali tra Seul e i suoi principali alleati.

 

Pur ammettendo che il presidente Park non presenti a breve le proprie dimissioni, la necessità di impiegare tutte le risorse nel tentativo di contenere questo scandalo senza precedenti potrebbe indurre il governo sudcoreano a mettere in standby alcune importanti iniziative strategiche, come quella legata al dispiegamento del sistema di Terminal High Altitude Area Defense (THAAD). Secondo l’accordo raggiunto con gli Stati Uniti lo scorso luglio, le batterie anti-missile, che dovrebbero essere installate nella contea di Seongju, sarebbero dovute diventare operative entro il 2017.

 

L’eventuale “congelamento” dell’accordo sul sistema THAAD, fortemente contestato sia da parte dell’opposizione sudcoreana che dagli stessi abitanti di Seongju, può costituire un punto a favore per Pechino, preoccupata dalla presenza dei radar e dei sistemi anti-missile statunitensi in Corea del Sud; ma soprattutto per Pyongyang, che prosegue instancabilmente – come testimoniato dai test svolti negli ultimi mesi – nel tentativo di ottenere la miniaturizzazione delle sue testate nucleari e nell’implementazione di una tecnologia balistica intercontinentale in grado di far tremare i propri nemici oltreoceano.

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Dalla Brexit al referendum, preparatevi: a decidere è il parlamento e non il popolo

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Non sono esperto dei meandri costituzionali della Gran Bretagna, paese che non ha neppure una vera costituzione prescrittiva, come invece il nostro e tanti altri. Da profano mi domando però come è possibile che solo ora si riconosca non valido il responso popolare del referendum sulla Brexit e lo si voglia sostituire con quello del parlamento. Lo stesso parlamento che aveva indetto il referendum q [...]

Autore: voxpopuli | Categoria: Politica | Voti: 1 - Commenti: 0


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Maria Elena Boschi e la frase su malati di tumore e referendum a Uno Mattina (video)

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Il MoVimento 5 Stelle e la Lega accusano Maria Elena Boschi di strumentalizzare i malati di cancro per il referendum. “Oggi non c’è lo stesso diritto per ciascun cittadino di qualunque regione di accedere allo stesso tipo di cure per malattie molto gravi come il tumore o i vaccini. Se passa la riforma invece avremo il dovere che ci siano lo stesso tipo di servizi a prescindere dalla regione in cui [...]

Autore: votAntonio | Categoria: Politica | Voti: 4 - Commenti: 0


Fonte: http://www.blog-news.it/metapost/maria-elena-boschi-frase-malati-tumore-referendum-uno-mattina-video

Maria Elena Boschi e la frase su malati di tumore e referendum a Uno Mattina (video)

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Il MoVimento 5 Stelle e la Lega accusano Maria Elena Boschi di strumentalizzare i malati di cancro per il referendum. “Oggi non c’è lo stesso diritto per ciascun cittadino di qualunque regione di accedere allo stesso tipo di cure per malattie molto gravi come il tumore o i vaccini. Se passa la riforma invece avremo il dovere che ci siano lo stesso tipo di servizi a prescindere dalla regione in cui [...]

Autore: votAntonio | Categoria: Politica | Voti: 4 - Commenti: 0


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Cina: Xi Jinping, il nuovo Mao?

di Priscilla Inzerilli

Si è concluso il 27 ottobre il sesto Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, il più importante meeting dedicato alle questioni interne di governo, cui hanno preso parte le 357 figure politiche più influenti del Paese. L’evento ha sancito ufficialmente il ruolo del presidente Xi Jinping come “nucleo” (hexin), attorno al quale tutti i membri del Partito sono chiamati a riunirsi, riconoscendo di fatto l’aspetto “totalizzante” della leadership di Xi.

 

Diversi analisti cinesi e non solo si sono spinti a formulare paragoni con il “Padre della Patria” Mao Zedong, figura che richiama alla mente un modello di guida suprema e autoritaria. Nei tre anni successivi alla nomina a presidente della Repubblica Popolare Cinese, avvenuta nel 2013, Xi Jinping ha lavorato costantemente per accentrare e far confluire i vari poteri entro la propria sfera di influenza diretta. Alla carica di segretario generale del Partito Comunista Cinese si è in seguito aggiunta quella di capo della Commissione Militare Centrale, capo della Commissione permanente del Politburo, presidente della Commissione per l’approfondimento delle Riforme, presidente della Commissione per la Sicurezza Nazionale e infine, nell’aprile del 2016, quella di Commander in chief, ovvero comandante in capo del Centro di Comando operativo congiunto dell’Esercito Popolare di Liberazione, anch’esso invitato a “obbedire strettamente alla disciplina politica e alle regole” stabilite dall’autorità del Partito.

 

Questa impressionante quantità di cariche ha consentito al presidente cinese di rafforzare la presa su pressoché tutti gli aspetti politici e strategici del Paese, limitando al massimo gli elementi di ostacolo alla propria autorità. L’altro aspetto fondamentale emerso dal Plenum ha riguardato infatti la lotta alla corruzione interna, ampiamente diffusa nel meccanismo delle promozioni e delle nomine. Nel comunicato finale del Plenum è stata annunciata l’espulsione dell’ex vice capo del Partito, di due ex funzionari dell’esercito e dell’ex capo del Partito Comunista della provincia del Liaoning, recentemente finita al centro di un notevole scandalo per brogli nell’elezione dei membri all’Assemblea Nazionale del Popolo, definito dalla stessa agenzia di stampa Xinhua come “senza precedenti dal 1949”.

 

Mao_statua_Tongxu(Una statua di Mao Zedong in fase di ultimazione a Tongxu, nella provincia di Henan)

 

La campagna anti-corruzione condotta strenuamente da Xi sin dall’inizio del proprio mandato, sembra però avere a che fare non tanto con la volontà di rendere maggiormente “trasparente” la selezione dei funzionari del Partito o la nomina delle alte cariche militari; quanto con l’obiettivo di consolidare il proprio potere. Xi è infatti ormai da molti ormai considerato il vero e proprio capo politico e militare del Paese, in barba al principio di “leadership collegiale” introdotto da Deng Xiaoping, che guidò la Cina nell’era post-maoista tra il 1978 e il 1993.

 

Tra le novità attese in vista del prossimo Congresso del Partito Comunista Cinese, previsto per la seconda metà del 2017, vi è il cambio di rotta sull’età massima entro la quale i funzionari possono rimanere in carica, che sino a questo momento era prevista entro e non oltre i 68 anni. Questo significherebbe, per Xi, perdere nel giro di poco tempo il sostegno di alcuni dei suoi uomini più fidati, e dover passare egli stesso il testimone al termine dei prossimi cinque anni. Il presidente non ha però ancora, a tutt’oggi, indicato quale possa essere il suo possibile “erede”.

 

Xi Jinping(Pechino: Xi Jinping a una parata militare a piazza Tiananmen il 3 settembre 2015)

 

C’è poi la questione relativa ai futuri sviluppi delle relazioni con gli USA, che si avviano verso le imminenti elezioni presidenziali, con tutte le incognite legate al cambio di leadership. Vi sono buone probabilità che il presidente Xi abbia tutta l’intenzione di prolungare il proprio mandato ben oltre i dieci anni “istituzionalmente” previsti, e che il prossimo presidente degli Stati Uniti – quale che sia – si troverà a dover affrontare una Cina guidata da una personalità politica estremamente forte e ambiziosa, la stessa che, pochi mesi fa, aveva promosso una riforma delle Forze Armate cinesi per renderle “capaci nel combattimento, efficienti nel comando, coraggiose e capaci di vincere le guerre”.

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Sulle orme di Bukowski

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SULLE ORME DI BUKOWSKI Iannozzi Giuseppe I. Colombella, tutti, tutti i miei ardori gettati via nel tuo piccolo cesso di cuore ma alto nei cieli azzurri, e d’immensità pieni; sei poi così sicura che… [...]

Autore: kinglear | Categoria: Cultura e Spettacoli | Voti: 1 - Commenti: 0


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Sarò breve e circonciso: che gaffe per Aurigemma, consigliere regionale del Lazio

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No, non è una scena dell’ultimo film comico di Carlo Verdone: è ciò che è successo davvero il 14 settembre 2016 alla Regione Lazio. Era in corso una seduta sul dissesto idrogeologico. A prendere la parola Antonello Aurigemma, consigliere di Forza Italia. Aurigemma esordisce, dicendo: "Sarò breve e circonciso". Il presidente di turno, Francesco Storace, stranito dall’affermazione, prova a corregger [...]

Autore: DonChisciotte | Categoria: Politica | Voti: 3 - Commenti: 0


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Crisi Libia, la versione di Serraj

di Rocco Bellantone

@RoccoBellantone

 

Il vertice di Londra sulla crisi libica del 31 ottobre ha aperto qualche spiraglio di speranza per il futuro del fragile Governo di Accordo Nazionale (GNA) del premier designato dalle Nazioni Unite Faiez Serraj. Al termine del summit, organizzato da Regno Unito e Stati Uniti e a cui hanno preso parte i ministri degli Esteri di Paesi europei e arabi – compreso il ministro italiano Paolo Gentiloni – la comunità internazionale ha ottenuto lo sblocco di circa 11 miliardi di dinari libici (pari a 7 miliardi di euro) dalla Banca Centrale Libica. Soldi che serviranno per rimettere in moto l’amministrazione del nuovo governo di Tripoli consentendo il pagamento degli stipendi arretrati dei funzionari che lavorano nel settore pubblico, la messa in sicurezza della capitale e delle altre aree controllate del Paese, l’erogazione di servizi sanitari di base e dell’energia elettrica in maniera continuativa. Se ne tornerà a discutere il 17 novembre, quando a Roma è in programma una riunione di verifica tecnica di quanto è stato accordato a Londra.

 

Per l’esecutivo del premier Serraj potrebbe essere una sorta di nuovo inizio, l’ennesimo a cui la Libia assiste da quando nel marzo scorso la sua squadra di governo è sbarcata a Tripoli scortata dai militari, senza però riuscire da allora a prendere realmente in mano il controllo del Paese. Serraj stesso sa di non potersi fidare degli annunci fatti a Londra, e al termine del vertice ha espresso tutte le sue preoccupazioni in un’intervista concessa al quotidiano libico Libya Herald.

 

I contrasti con la comunità internazionale

Tra i temi trattati, uno dei più interessanti ha riguardato proprio la differenza di vedute tra il suo esecutivo e quei partner esteri che nell’ultimo anno ne hanno sponsorizzato la nomina e l’insediamento a capo del GNA. “Ogni volta che ci sediamo al tavolo delle trattative – ha spiegato – i rappresentanti della comunità internazionale ci chiedono che risultati abbiamo prodotto solo su due argomenti”, vale a dire la lotta al terrorismo e il contrasto dell’immigrazione clandestina. Io però continuo a dire loro che ci sono altri problemi più importanti che riguardano i cittadini libici”. Ad esempio, ha proseguito Serraj, che ci vogliono “attese di tre giorni per prelevare 100 dinari libici da una banca” oppure “che l’energia elettrica da mesi viene tagliata regolarmente per 14 ore al giorno”. Per non parlare delle scuole, dove sono costretti a vivere gli sfollati, e della mancanza dei vaccini negli ospedali. Il risultato è una crisi sociale dilagante da cui ad oggi non si vede una via d’uscita perché, sostiene Serraj, “il sostegno che la comunità internazionale sta dando alla Libia è nettamente sproporzionato rispetto alla fase di gravità eccezionale che la Libia sta attraversando”.

 

U.S. Secretary of State John Kerry attends the Libyan Ministerial meeting at the Foreign and Commonwealth Office in London(Il summit sulla crisi libica del 31 ottobre a Londra)

 

Altro nodo cruciale è quello legato all’annosa richiesta del ritiro dell’embargo sulle armi. Serraj parla di lungaggini burocratiche e di interminabili passaggi decisionali che puntualmente finiscono per sbattere contro il veto posto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. “D’altra parte però – ha dichiarato – ci sono altri soggetti (il riferimento è ai governi rivali, quello islamista di Khalifa Ghwell e quello di Tobruk guidato da Abdullah Al Thinni e sostenuto dal generale Khalifa Haftar, ndr) che alzano la cornetta del telefono e ordinano 200 veicoli militari e 300 RPG. Poi un terzo soggetto paga il conto (il riferimento è alla Banca Centrale Libica, ndr) e un quarto fa arrivare lungo le nostre coste le navi cariche con la merce richiesta”.

 

Le rivalità con Ghwell e Haftar

Il discorso scivola poi sui due grandi avversari di Serraj, ossia il capo del Governo di Salvezza Nazionale (l’esecutivo che governava a Tripoli prima dell’insediamento del GNA, ndr) Khalifa Ghwell e il generale Khalifa Haftar, comandante del Libyan National Army e sostenitore del governo di Tobruk.

 

Sul ruolo di Haftar, sostenuto all’estero da una cerchia sempre più ampia di Paesi oltre che da Egitto e Francia, il commento di Serraj per il momento sembrerebbe non lasciare spazio a compromessi. Insieme ad Haftar, dice Serraj, “avremmo potuto ottenere il sollevamento dell’embargo sulle armi e combattere insieme il terrorismo a Sirte”, dove dopo mesi di assedio continuano a resistere poco più di cento miliziani dello Stato Islamico. “Mi aspettavo una risposta positiva da lui, ma alla fine hanno prevalso le sue ambizioni personali e la sua mancanza di fiducia nei confronti di alcuni membri del GNA”.

 

 Former Libyan commander Major General  Khalifa Haftar speaks to protesters outside home after protest against GNC in Benghazi(Il generale della Cirenaica Khalifa Haftar)

 

Dura anche la posizione nei confronti di Khalifa Ghwell. “Ghwell sta pagando per tenere Tripoli in una fase di instabilità”, ha dichiarato Serraj sostenendo che questi, dal suo ritorno nella capitale, avrebbe corrotto o provato a corrompere diversi ufficiali di vario grado della Guardia Presidenziale per convincerli a passare dalla sua parte. Secondo Serraj Ghwell avrebbe già speso a tale scopo cifre importanti (tra i 100 e i 150 milioni di dinari libici) ricevuti dalla Banca Centrale Libica, il cui governatore Saddik Elkaber avrebbe finora bloccato i finanziamenti destinati al GNA utilizzando la scusa della sicurezza per immobilizzare l’azione del governo designato dall’ONU.

 

Ghwell(Il leader del Governo di Salvezza Nazionale di Tripoli Khalifa Ghwell)

 

Parole forti anche nei confronti del presidente della National Oil Company Mustafa Sanalla, il quale a detta di Serraj dopo aver fatto ostruzionismo per mesi di fronte alle richieste del GNA ha riaperto i rubinetti delle esportazioni petrolifere solo dopo l’arrivo delle truppe del generale Haftar nella Mezzaluna Petrolifera.

 

Quello che emerge da questa intervista assume pertanto le sembianze di un grande complotto, attraverso cui una parte ampia e trasversale dei poteri libici di Tripoli e Tobruk in questi nove mesi avrebbe agito per impedire a Serraj di governare il Paese. Missione riuscita alla luce di quanto visto finora. Resta da chiedersi per quale motivo si sia arrivati fino a questo punto e, soprattutto, come abbia fatto la comunità internazionale a puntare ancora una volta sul cavallo perdente.

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Fonte: http://www.lookoutnews.it/libia-faiez-serraj-intervista/

YouTube vi dà più poteri contro i troll

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Youtube introduce nuove funzioni per i gestori dei canali: sia per enfatizzare la relazione con i fan che per controllare i troll [...]

Autore: Matrix | Categoria: Scienza e Tecnologia | Voti: 1 - Commenti: 0


Fonte: http://www.blog-news.it/metapost/youtube-poteri-contro-troll

Sondaggi PD, il partito di Renzi cresce ancora, M5S in calo secondo SWG

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Sondaggi PD, cresce il partito di Renzi, mentre cala il Movimento 5 Stelle, ora staccato del 5,5%. Continua il declino del centrodestra, -1% [...]

Autore: votAntonio | Categoria: Politica | Voti: 3 - Commenti: 0


Fonte: http://www.blog-news.it/metapost/sondaggi-partito-renzi-cresce-ancora-m5s-calo-secondo-swg