giovedì 20 ottobre 2016

Teatri gratis il 22 ottobre: lista delle strutture che aderiscono all'iniziativa

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"Teatri aperti" è l'iniziativa di sabato 22 ottobre promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e dall'Agis. In tutta Italia più di 100 teatri apriranno gratuitamente le porte al pubblico. [...]

Autore: mynews24 | Categoria: Cultura e Spettacoli | Voti: 1 - Commenti: 0


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Il grande pasticcio della bicamerale D'Alema

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Cosa prevedeva il testo del disegno di legge n. 2583-a• senato "a porte girevoli" con composizione variabile (200 senatori eletti direttamente integrati, solo per alcune "materie", da 200 consiglieri di comuni, province e regioni), di fatto un sistema tricamerale. • almeno 6 procedimenti legislativi diversi, anch'essi in base alle "materie". • fiducia da parte della sola camera ma leggi sui "dirit [...]

Autore: votAntonio | Categoria: Politica | Voti: 3 - Commenti: 0


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Biblioteche anche in azienda, perché un libro è conoscenza e libertà

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Un libro è conoscenza, libertà. Un libro preso in prestito o letto in una biblioteca, anche in fabbrica, in un ufficio, in un posto di lavoro, aiuta a vivere meglio. Sta proprio qui il senso di fondo dell'iniziativa dell'apertura delle biblioteche aziendali, promossa tempo fa dal Gruppo Cultura di Confindustria e dall'Aie, l'Associazione degli editori rilanciata nei giorni scorsi, nell'ambito del [...]

Autore: Alchimista | Categoria: Cultura e Spettacoli | Voti: 1 - Commenti: 0


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Referendum, il 'No' protesta contro la Rai: "Rispetti la par condicio"

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Il Coordinamento "No" Sociale al referendum ha protestato sotto la sede di Viale Mazzini, a Roma, "contro la mancanza di informazione sullo sciopero generale del 21 ottobre" e sul No Renzi Day, "manifestazione nazionale che si svolgerà il 22 ottobre" [...]

Autore: Giusy | Categoria: Politica | Voti: 6 - Commenti: 0


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Ucraina: l’assassinio di Arsen Pavlov e la faida tra ribelli filorussi

di Rocco Bellantone

@RoccoBellantone

 

La crisi in Ucraina torna oggi sotto i riflettori internazionali con un nuovo summit a Berlino del “Quartetto Normandia”, composto dai leader di Germania, Francia, Russia e Ucraina. L’obiettivo è fare il punto sull’accordo per il cessate il fuoco raggiunto a Minsk nel febbraio del 2015 e che finora ha retto a fatica, definire il calendario delle elezioni regionali che dovranno tenersi nel Donbass (regione dell’est dell’Ucraina al confine con la Russia) e fare altri passi in avanti per la smilitarizzazione delle aree in conflitto.

 

Gli auspici non sono dei migliori come dimostrato dagli ultimi scambi di accuse tra Kiev e il Cremlino. Anche se il rischio maggiore, fanno sapere fonti vicine al governo tedesco citate da Reuters, è che la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande provino a sfruttare l’incontro, e approfittare della presenza del presidente russo Vladimir Putin, per parlare di Siria. La guerra in Ucraina, con i suoi 9.600 morti, rischia perciò di scivolare per l’ennesima volta tra i dossier di “serie B”.

 

Sullo sfondo dei colloqui di Berlino, nell’est dell’Ucraina continua intanto a tenere banco l’uccisione di Arsen Pavlov, nome di battaglia “Motorola”, tra i più noti comandanti dei ribelli separatisti filorussi, assassinato a Donetsk la sera di domenica 16 ottobre. Pavlov è stato ucciso insieme a una delle sue guardie del corpo dall’esplosione di una bomba deflagrata all’interno dell’ascensore del condominio in cui abitava.

 

Chi era Arsen Pavlov

Trentatré anni, nato nella repubblica settentrionale russa di Komi, barba rossiccia e temperamento focoso, Pavlov si era guadagnato il soprannome di “Motorola” in Cecenia, dove aveva combattuto con l’esercito russo svolgendo il ruolo di responsabile delle telecomunicazioni. Nella primavera del 2014 aveva attraversato i confini con l’Ucraina unendosi ai movimenti separatisti e ponendosi alla guida del battaglione “Sparta”, passato alle cronache in questi due anni e mezzo di conflitto come uno dei più spietati e imprevedibili del fronte ribelle.

 

In questi anni Pavlov aveva partecipato in prima linea alla battaglia di Ilovaisk nell’agosto 2014 e agli scontri per la presa dell’aeroporto di Donetsk da parte dei separatisti. Nell’est dell’Ucraina era considerato una sorte di eroe e anche diversi giornali russi lo avevano intervistato e osannato più volte. A Donetsk sono addirittura stati stampati e messi in vendita dei francobolli con il suo volto, anche se non erano in pochi a vedere in lui solo un fantoccio manovrato dal Cremlino. Il governo di Kiev lo considerava invece un criminale di guerra e l’Unione Europea aveva provato inutilmente a “intimorirlo” applicando delle sanzioni individuali nei suoi confronti. Azioni che però non hanno mai seriamente impensierito Pavlov. In città si muoveva spesso a bordo della sua moto, portava a passeggio il figlio nel centro di Donetsk accerchiato da suoi fedelissimi e in un’intervista telefonica rilasciata lo scorso anno al Kyiv Post si era vantato di aver ucciso con le proprie mani diversi prigionieri finiti nelle mani dei ribelli.

 

Arsen_Pavlov(Donetsk, 17 ottobre 2016: il giorno del matrimonio di Arsene Pavlov)

 

 

Chi è stato a uccidere il leader separatista?

Subito dopo la sua morte, i separatisti di Donetsk hanno puntato il dito contro il governo ucraino poiché secondo loro avrebbe assoldato gruppi di nazionalisti di estrema destra per eliminare il loro leader. Il presidente del parlamento della Repubblica Popolare di Donetsk, Denis Pushilin, ha accusato le forze militari di Kiev di aver compiuto un “atto terroristico” per destabilizzare il Donbass e minare il già fragile accordo in vigore per il cessate il fuoco. Mentre il capo dei ribelli di Donetsk, Alexander Zakharchenko, ha definito l’omicidio di Pavlov una “dichiarazione di guerra” da parte di Kiev.

 

Nel serrato scambio d’accuse si è ritagliato qualche ora di visibilità anche un video rilanciato dal sito russo Life News in cui quattro uomini con il volto coperto, inquadrati con alle spalle una bandiera dell’Ucraina, rivendicano l’uccisione di Pavlov. Nel filmato gli uomini dicono di aver agito per conto della Misanthropic Division, gruppo di estrema destra che combatte all’interno del battaglione “Azov” contro i separatisti, e che all’uccisione di Pavlov seguiranno altri omicidi eccellenti tra cui quello dello stesso Zakharchenko e di Igor Plotnitsky, il capo dei ribelli nella Repubblica Popolare di Luhansk.

 

Members of the self-proclaimed Donetsk People's Republic forces sit on an armored vehicle on the roadside near the site of the Malaysia Airlines flight MH17 plane crash outside the village of Hrabove

SPECIALE CRISI UCRAINA

 

Sono molti però i dubbi sull’attendibilità di questo video, e non solo perché a rilanciarlo per primo siano stati una testata russa e su Twitter il corrispondente di guerra russo Alexander Kots. Il capo di “Misanthropic Division” ha negato che sono stati membri della sua organizzazione a girare il filmato. Inoltre, è difficile che in una città come Donetsk, roccaforte dei separatisti dall’inizio delle ostilità, gruppi nazionalisti riescano a pianificare e portare a termini azioni così eclatanti senza essere prima scoperti e neutralizzati.

 

Ma ciò che più conta è il modo in cui è stato commesso l’assassinio di Pavlov, una dinamica che lascia credere che il leader separatista possa essere stato tradito da qualcuno degli uomini a lui più vicini. Chi lo ha ucciso è infatti potuto entrare all’interno del palazzo in cui abitava e ha avuto il tempo di piazzare un esplosivo sopra la cabina dell’ascensore che lo avrebbe condotto al piano del suo appartamento.

 

Pavlov potrebbe dunque essere finito vittima di una faida interna tra quei gruppi ribelli che si contendono il controllo dei traffici illegali che passano per Donetsk da quando la città non risponde più al governo di Kiev. “Motorola”, d’altronde, non sarebbe il primo leader separatista ad aver fatto questa fine. Dall’inizio del conflitto nel Donbass diversi altri comandanti militari sono stati assassinati. Nel maggio scorso era toccato ad Alexey Mozgovoy, che a capo del battaglione “Ghost” aveva fatto della città di Alchevsk, situata nell’autoproclamata Repubblica Popolare Luhansk, il proprio feudo personale. Un’altra pista, cui fa riferimento la BBC, condurrebbe a un vecchio conto che Pavlov aveva in sospeso con un capo militare originario dell’Abkhazia, anche se l’ipotesi appare quella meno probabile. Resta caldeggiata da molti, infine, la ricostruzione secondo cui a commissionare l’omicidio sarebbe stato direttamente il Cremlino, impegnato da mesi a sbarazzarsi attraverso i propri servizi segreti di quelle figure ritenute scomode o non più manovrabili nell’est dell’Ucraina.

 

Ciò che è certo è che il giovane Arsen Pavlov negli ultimi anni aveva accentrato nelle sue mani molto potere. Un potere che qualcuno non poteva più sopportare.

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Stasera Casa Mika su Raidue slitta al 15 novembre per evitare I Medici (Anteprima Blogo)

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Il one man show con l'ex giurato di X Factor partirà con una settimana di ritardo per evitare I Medici. [...]

Autore: spetteguless | Categoria: Cultura e Spettacoli | Voti: 1 - Commenti: 0


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Municipio XIV: il conflitto d’interessi a 5 Stelle a Monte Mario

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Qualche tempo fa avevamo parlato del Municipio XIV e dello strano caso dei due politici M5S che sono anche soci di studio: si tratta dell’Assessore ai Lavori Pubblici e Urbanistica Michele Menna e del consigliere municipale Fabrizio Salamone, che però riveste anche il ruolo di Presidente della Commissione Lavori Pubblici del Municipio. Ieri è però andata in scena la Commissione Trasparenza, dove i [...]

Autore: voxpopuli | Categoria: Politica | Voti: 3 - Commenti: 0


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Libia, il 20 ottobre 2011 moriva Gheddafi: la timeline 1969-2016

di Luciano Tirinnanzi

@luciotirinnanzi

 

Il 20 ottobre del 2011, alle ore 8 del mattino il colonnello Muammar Gheddafi è ormai un dittatore in fuga. Dopo aver abbandonato Tripoli per la roccaforte di Sirte, viene intercettato in mezzo a un convoglio di 50 pick up e 250 fedelissimi del regime. Ne scaturisce una battaglia con i gruppi ribelli che gli danno la caccia da settimane. Lo scontro si conclude poco lontano dalla sua città natale, quando uno strike aereo della NATO si abbatte sul convoglio dei lealisti, infliggendo numerose perdite. Alcuni sopravvissuti al bombardamento, tra cui lo stesso Gheddafi, cercano rifugio nascondendosi in un riparo di fortuna, un oleodotto abbandonato lungo la strada. I ribelli, però, riescono a stanare Gheddafi e, dopo aver brutalmente abusato del suo corpo, lo uccidono sul posto. Le ultime parole pubbliche del rais che governava la Libia col pugno di ferro dal 1969, sono state a dir poco profetiche: Senza di me sarà il caos.

 

1969-2011 – La parabola di Gheddafi, dal golpe alla rivolta

La storia contemporanea della Libia è segnata indelebilmente dalla figura del colonnello Muammar Gheddafi, che nel 1969 rovesciala monarchia filo-occidentale di re Idris I con un golpe militare di alcuni ufficiali, e inaugura la “Rivoluzione verde” panarabista nel Paese, che dal 1977 verrà rinominato Grande Jamahiriyya araba Libica Popolare Socialista.

 

In breve, Gheddafi nazionalizza imprese e possedimenti stranieri e chiude le basi americane nel Paese. Nel tentativo di accreditarsi come statista di spessore internazionale, negli anni del suo governo dittatoriale, il colonnello riesce a imporsi in ambito internazionale anche come mediatore nei vari conflitti sociali, cavalcando alternativamente il panarabismo e il panafricanismo. Ma la radicalizzazione delle sue scelte politiche, soprattutto in funzione anti-occidentale, avvicina progressivamente la Libia a numerosi gruppi terroristici, di cui diventa principale finanziatore.

 

Gheddafi_storia

 

Negli anni Ottanta sostiene gruppi terroristi come il palestinese Settembre Nero, cosa che provoca le ire degli Stati Uniti: nell’aprile del 1986 la Libia, e Tripoli in particolare, vengono bombardate per ordine di Ronald Reagan, ma il rais scampa miracolosamente a un tentativo diretto principalmente contro la sua persona. Nel 1988, l’ONU commina un pesante embargo economico contro la Libia, come ritorsione per l’attentato di Lockerbie avvenuto nel dicembre lo stesso anno, quando l’aereo commerciale della PanAm esplode in volo da Londra a New York a causa di una bomba, schiantandosi sulla cittadina scozzese di Lockerbie.

 

Il processo di alienazione della Libia dalle relazioni diplomatiche internazionale va avanti lungo tutti gli anni Novanta, periodo in cui la Libia rientra nella categoria dei “Paesi canaglia” mentre la politica del colonnello si concentra sull’Africa e sul suo sogno di un’unione panafricana, che lo porterà nel 1989 a formare l’Unione Araba del Maghreb con Algeria, Marocco, Mauritania e Tunisia e poi nel 2009 ad essere eletto capo dell’Unione Africana in Etiopia, che si prefigge lo scopo di creare gli Stati Uniti d’Africa.

 

Solo negli anni Duemila Gheddafi riuscirà invece a ristabilire buoni rapporti diplomatici con gli USA (2006) e con l’Occidente e a vedere diminuite le sanzioni contro il suo Paese: la Libia verrà in seguito definitivamente depennata dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo.

 

L’ondata di proteste che dal dicembre 2010 iniziano a scuotere il Nord Africa colpisce anche la Libia nel febbraio 2011. Da qui inizia la rivolta contro il regime libico, che si fa particolarmente dura a Bengasi, che guida una rivolta che presto si estenderà a macchia d’olio anche al resto del Paese.

 

Segue una guerra civile che oppone le forze fedeli a Gheddafi agli insorti del consiglio Nazionale Libico. A seguito della risoluzione 1973, la NATO interviene militarmente. all’intervento prendono parte Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Italia, Canada, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Rovesciato il regime, il 20 ottobre 2011 Gheddafi viene catturato e ucciso nella sua città natale di Sirte. Il suo assassinio segna la fine della guerra e l’inizio del caos da lui stesso preconizzato.

 

 

Gheddafi_morte

 

La Timeline 2011-2016

 

Febbraio 2011 – L’arresto di un attivista per i diritti umani scatena le proteste della popolazione contro il regime del Colonnello Gheddafi.

 

Marzo-agosto 2011 – Con l’operazione “Odyssey Dawn” inizia la guerra in Libia: la NATO bombarda le installazioni militari libiche, mentre i ribelli sostenuti dagli attacchi aerei franco-britannici avanzano da Bengasi fino a Tripoli, sede del governo e del compound di Gheddafi.

 

Ottobre 2011 – Il colonnello Muammar Gheddafi viene catturato e ucciso durante la fuga. Il principale gruppo di opposizione, il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT), dichiara la Libia ufficialmente “liberata”.

 

Gennaio 2012 – Nuovi scontri tra clan scoppiano tra le ex forze ribelli che controllano Bengasi. Nei mesi successivi prosegue l’instabilità mentre le milizie d’opposizione si sfaldano e si parcellizzano in fazioni rivali. Inizia una lunga battaglia per il potere e il controllo delle risorse petrolifere sia a est che a ovest della Libia.

 

Settembre 2012 – In questo clima surriscaldato, l’ambasciatore americano Christopher Stevens e tre funzionari USA vengono uccisi a Bengasi da uomini armati, durante un assalto al consolato americano l’11 settembre.

 

Novembre 2012 – Emerge un nuovo governo liberale, guidato dal premier Ali Zeidan.

 

Libya's Prime Minister Ali Zeidan speaks during a news conference at the headquarters of the Prime Minister's Office in Tripoli(L’ex premier libico Ali Zeidan)

 

Maggio 2013 – Gli uffici governativi e il parlamento vengono ripetutamente assediati dagli uomini che gestiscono la sicurezza di Tripoli.

 

Agosto 2013 – Gruppi di ribelli sfuggiti al controllo del governo cominciano lunghi mesi di blocco dei terminali petroliferi, contribuendo a un deterioramento economico e della sicurezza della Libia.

 

Ottobre 2013 – Il premier Ali Zeidan subisce un sequestro lampo da parte di miliziani di Tripoli, riconoscibili nei membri della Libya Revolutionaries Operations Room (LROR).

 

Novembre 2013 – Scontri tra esercito libico e combattenti islamici (tribù locali e affiliati salafiti riconducibili ad Ansar Al Sharia) si registrano in varie parti del Paese.

 

Febbraio 2014 – Nuove proteste scoppiano dopo che il parlamento libico rifiuta di sciogliersi al termine del proprio mandato.

 

Marzo 2014 – Il premier Ali Zeidan viene esautorato dei poteri dal parlamento, comincia il caos istituzionale. Abdullah Al Thinni diviene capo del governo ad interim.

 

Maggio 2014 – Gli islamici di Ansar Al Sharia proliferano nella Cirenaica, mentre il generale Khalifa Haftar prende il controllo dell’esercito regolare LNA (Libyan National Army) e promette di sconfiggerli.

 

Giugno 2014 – Si svolgono le elezioni per il nuovo parlamento, vota meno del 50% della popolazione, vincono i liberali. Il governo annuncia la prima riunione del nuovo parlamento a Bengasi entro il 4 agosto nella nuova sede di Bengasi.

 

Luglio 2014 – La Libia precipita nella guerra civile, il Paese si divide e nascono città-Stato, ciascuna sotto il controllo di brigate indipendenti come quelle di Zintan e Misurata, mentre Ansar Al Sharia prende il sopravvento a Bengasi.

 

Agosto 2014 – A causa dei combattimenti, il parlamento non può riunirsi a Bengasi e ripara a Tobruk, al confine con l’Egitto. Una parte consistente dei vertici e della base di Ansar Al Sharia dichiara la nascita del “Califfato Islamico” in Cirenaica.

 

ISIS_Libia (Miliziani di ISIS annunciano l’esecuzione di cristiani etiopi in Libia)

 

Ottobre 2014 – Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, preme per la ripresa dei colloqui tra il parlamento insediatosi a Tobruk – di cui è espressione il governo del premier Al Thinni – e le fazioni politiche che controllano invece la capitale Tripoli con il sostegno delle milizie islamiste della coalizione Alba Libica. Secondo le stime delle Nazioni Unite sono oltre 100mila gli sfollati causati dagli ultimi scontri. Intanto lo Stato Islamico prende il controllo della città portuale di Derna, situata nella parte orientale della Libia.

 

Gennaio 2015 – L’esercito libico guidato dal generale Haftar e la coalizione delle milizie islamiste che controllano Tripoli si dicono pronte a rispettare un cessate il fuoco parziale dopo gli ultimi colloqui condotti dalle Nazioni Unite a Ginevra.

 

Febbraio 2015 - Raid di caccia egiziani colpiscono postazioni dello Stato Islamico a Derna un giorno dopo la diffusione sul web di un video in cui il Califfato mostra la decapitazione di 21 cristiani copti egiziani.

 

Marzo 2015 - L’offensiva dell’esercito libico per strappare a ISIS il controllo di Derna fallisce. Lo Stato Islamico prende il controllo della città portuale di Sirte, situata a metà strada tra Tripoli e Bengasi. Pochi mesi più tardi la città verrà proclamata capitale di ISIS in Libia.

 

2015 Luglio - Un tribunale di Tripoli condanna a morte per i crimini commessi durante la rivolta del 2011 uno dei figli di Gheddafi, Saif al-Islam, e altri otto ex funzionari del regime.

 

Gennaio 2016 - Le Nazioni Unite annunciano dalla Tunisia la nascita di un nuovo governo ad interim assegnandone la guida al premier Faiez Serraj. Ma né il parlamento di Tobruk né quello di Tripoli ne riconoscono l’autorità. ISIS attacca il terminal petrolifero di Ras Lanuf nella Mezzaluna Petrolifera e minaccia di marciare verso Al Brega e Tobruk.

 

Fayez Serraj(Il premier designato dalle Nazioni Unite Faiez Serraj)

 

 

Marzo 2016 - I membri del nuovo Governo di Accordo Nazionale (GNA) arrivano a Tripoli ma non possono entrare all’interno della città a causa delle limitate condizioni di sicurezza. L’esecutivo si insedia temporaneamente in una base navale situata di fronte alla costa della città.

 

Aprile 2016 - Personale delle Nazioni Unite torna a essere operativo a Tripoli a distanza di due anni.

 

Maggio 2016 - Le forze fedeli al nuovo Governo di Accordo Nazionale avviano una campagna militare per riprendere il controllo di Sirte in mano a ISIS. Ma ad oggi, a cinque mesi di distanza, la città non è stata ancora definitivamente liberata. Forze speciali francesi, inglesi, americane e italiane iniziano a compiere operazioni segrete in varie aree del Paese contro i miliziani jihadisti.

 

Agosto 2016 - Caccia e droni USA bombardano le postazioni di ISIS a Sirte su richiesta del governo di Serraj.

 

General Khalifa Haftar walks to a news conference in Abyar(Il generale della Cirenaica Khalifa Haftar)

 

Settembre 2016 - L’esercito del generale Haftar entra nei territori della Mezzaluna Petrolifera prendendo il controllo dei terminal di Es Sider, Ras Lanuf, Zuwaytina e Al Braga senza trovare alcuna opposizione da parte dei miliziani della Guardia Petrolifera (Petroleum Facilities Guard) agli ordini di Ibrahim Jadran e alleata al nuovo governo di Serraj. Nei giorni seguenti il governo italiano annuncia l’avvio dell’Operazione “Ippocrate” che prevede l’invio di circa 300 tra medici, infermieri e militari per la creazione di un ospedale da campo a Misurata.

 

Ottobre 2016 - Con un colpo di mano il 15 ottobre l’ex premier Khalifa Al Ghwell rigetta nel caos Tripoli, prendendo il comando delle principali sedi governative tripoline approfittando dell’assenza del primo ministro designato dall’ONU, Faiez Al Serraj, che si trovava a Tunisi per impegni istituzionali. Serraj torna a Tripoli pochi giorni dopo. Entrambi si dichiarano al comando della capitale libica.

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In onda il Celebrity Fight Night, in Italia con Bocelli in memoria di Muhammad Ali

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Il Celebrity Fight Night fu istituito 23 anni fa dal celebre pugile Muhammad Ali, scomparso lo scorso 6 giugno, un uomo che nella sua vita si è impegnato e ha lottato duramente, dentro e fuori il ring. L'evento andrà in onda in esclusiva domenica 23 ottobre alle 19,30 su Sky Uno HD. Si tratta di un programma di Gianluigi Attorre e Caterina Mollica, scritto con Giuseppe Mili e Benedetta Scialpi. An [...]

Autore: DonChisciotte | Categoria: Cultura e Spettacoli | Voti: 1 - Commenti: 0


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Referendum, guerrieri Masai diventano testimonial (a loro insaputa?) del fronte del 'Sì'

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La fotografia è stata pubblicata sulla pagina Facebook dedicata al comitato "Kenya per il Sì", fondato dall'imprenditore del settore turistico Pasquale Tiritò. [...]

Autore: voxpopuli | Categoria: Politica | Voti: 3 - Commenti: 0


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Trump contro Clinton: campagna elettorale da dimenticare. Le immagini

di Alfredo Mantici

 

Come era stato ampiamente previsto, l’ultimo duello televisivo mandato in onda la sera di mercoledì 19 ottobre da Las Vegas tra Hillary Clinton e Donald Trump passerà alla storia non per la profondità dei temi trattati ma per la maleducazione con la quale i due candidati alle elezioni presidenziali americane si sono affrontati, senza esclusione di colpi e di insulti.

 

Cominciamo dalla fine: per la prima volta da quando sono stati istituiti i dibattiti in tv tra i candidati presidenziali (il primo si tenne nel 1959 e vide contrapposti John Kennedy e Richard Nixon), i due concorrenti al termine dello scontro non si sono stretti la mano. Un’infrazione all’etichetta molto grave in un Paese che per tradizione tiene molto alla forma, anche quando questa sconfina nell’ipocrisia.

 

Si pensi che, nell’aprile del 1865, al termine della guerra civile, quando il generale Ulysses Grant, nordista, chiese al suo avversario del Sud, il generale Robert Lee, la resa incondizionata dell’esercito confederato ormai sconfitto, firmò la lettera con le sue richieste ultimative con la frase “your most obedient servant” (“il vostro umilissimo servitore”), segno che anche in guerra si potevano conservare piccole tracce di educazione. Ebbene, anche queste tracce sono scomparse nella furia del dibattito finale.

 

USA VS.TRUMP - LOOKOUT NEWS - COPERTINA

USA VS. TRUMP: ACQUISTALO IN LIBRERIA E SU AMAZON

 

 

Sotto la guida di Lew Wallace, giornalista della rete televisiva Fox News, il dibattito per i primi minuti è sembrato correre sui binari tradizionali dei precedenti: dopo alcune battute sui temi dell’immigrazione clandestina e del controllo sulla vendita delle armi, lo scambio di idee si è rapidamente deteriorato quando la Clinton, sostenendo che i russi hanno tentato di condizionare la campagna elettorale con ripetute incursioni elettroniche nei server del Comitato Elettorale Democratico (come, a suo dire provato dalle conclusioni “raggiunte da 17 agenzie di intelligence del Paese […]”), ha definito il suo avversario un “fantoccio di Putin”. Un’accusa alla quale Trump ha “signorilmente” risposto definendo la candidata democratica una nasty woman, un termine che nello slang americano significa sia “donna sessualmente facile ed eccitante” che più semplicemente “donna disgustosa”.

 

Mentre il povero moderatore invitava i due candidati a non parlare contemporaneamente coprendosi a vicenda, la Clinton ha parlato di Trump come di un uomo inadatto a ricoprire il ruolo di presidente e ricordato le accuse, piovute a pioggia su Trump negli ultimi giorni, di molestie sessuali ai danni di donne che si sono fatte avanti per dipingerlo come un volgare dongiovanni. Smentendo di essere un molestatore seriale, il candidato repubblicano ha dichiarato che le sue accusatrici mentono e che hanno orchestrato una campagna di calunnie nei suoi confronti – rispetto alle quali, essendo innocente, non ha “neanche chiesto scusa alla moglie” – perché alla ricerca di una “facile fama” o in quanto convinte dagli strateghi della campagna della Clinton”.

 

È difficile, per chi ha seguito il dibattito televisivo, farsi un’idea reale delle differenti strategie politiche dei due candidati, uno dei quali quando diventerà il nuovo inquilino della Casa Bianca avrà un’indubbia influenza sugli equilibri mondiali, in tema di economia globale o di misure idonee a ristabilire la pace in Medio Oriente. È emerso che Trump forse tenterà di migliorare le relazioni con la Russia (di qui l’accusa di essere un “fantoccio di Putin”), mentre la Clinton sembra decisa a inasprire i toni e i termini del confronto con il Cremlino. Il resto è apparso come una stanca, ancorché eccitata, ripetizione di slogan già sentiti contro i messicani da parte di Trump, che ha ribadito di voler ripulire il Paese dei “bad hombres”, e di pesanti insinuazioni della Clinton sull’equilibrio mentale del suo avversario.

 

Al termine del confronto Trump si è spinto a fare una dichiarazione che forse voleva essere spiritosa, ma che ha invece provocato ansia e allarme nel mondo giornalistico, che infatti ne ha fatto il tema conduttore dei commenti sul dibattito di ieri. Non avendo ancora deciso se considerare o meno queste elezioni “corrette”, il tycoon newyorkese ha concluso il suo intervento con un colpo di teatro: “deciderò, al momento opportuno se accettare il verdetto elettorale in caso di sconfitta, perché non posso escludere la possibilità di brogli. Per ora vi tengo in uno stato di suspense […]”.

 

Insomma, chi si attendeva un dibattito serio sul futuro degli Stati Uniti dopo il prossimo 8 novembre, è rimasto deluso, come sono probabilmente rimasti delusi gli elettori americani che stando ai primi sondaggi non hanno abbandonato le posizioni già assunte nelle scorse settimane, con una maggioranza non eccessiva a favore della Clinton, una maggioranza che a tutt’oggi non le assicura però la certezza della vittoria. Dall’altra parte, c’è invece una solida minoranza di “trumpiani” che continua ad apprezzare i toni e gli atteggiamenti del candidato repubblicano.

 

Si tratta di due Americhe divise e contrapposte come non mai. A incidere alla fine sarà la decisione che prenderà la parte significativa dell’elettorato indeciso. Scegliere però non sarà semplice perché quella a cui abbiamo assistito è una campagna elettorale che, per responsabilità di ambedue i concorrenti, è stata veramente “nasty”.

 

L’AMERICA CHE VOTA TRUMP: LE IMMAGINI DA ST. CHARLES – MISSOURI

 

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Fonte: http://www.lookoutnews.it/trump-clinton-ultimo-dibattito-tv/

UE, gli indirizzi IP e la privacy a metà

Un'importante sentenza della Corte di Giustizia UE stabilisce lo status privilegiato di "dati personali" per gli indirizzi di rete, ma i siti sono legittimati alla loro conservazione allo scopo di preservare la cybersicurezza [...]

Autore: VxVendetta | Categoria: Scienza e Tecnologia | Voti: 1 - Commenti: 0


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Siria: parte la tregua ad Aleppo. Mosca: "terroristi hanno sparato sul corridoio umanitario"

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Partita questa mattina la tregua ad Aleppo est. Il cessate il fuoco dovrebbe durare undici ore [...]

Autore: Articolo3 | Categoria: Politica | Voti: 3 - Commenti: 0


Fonte: http://www.blog-news.it/metapost/siria-parte-tregua-aleppo-mosca-terroristi-hanno-sparato-sul-corridoio-umanitario

Pacifico, arrivano i bombardieri russi: Putin mette pressione agli USA

di Priscilla Inzerilli

 

Le forze aerospaziali russe hanno messo a punto una nuova divisione di bombardieri a lungo raggio per pattugliare una vasta area del Pacifico compresa tra le Hawaii, l’isola di Guam e il Giappone, dove sono presenti diverse importanti basi aeree e navali degli Stati Uniti. L’annuncio del ministro della Difesa russo Sergey Shoigu, diffuso dal quotidiano Izvestia, è solo l’ultimo dei tasselli che vanno a comporre il quadro delle tensioni russo-americane nello scenario geopolitico asiatico, rendendo chiare una volta di più quelle che sono le ambizioni militari di Mosca nel quadrante dell’Asia-Pacifico.

 

Secondo quanto affermato da un funzionario del ministero della Difesa russo rimasto anonimo, la nuova divisione sarà collocata presso le basi di Belaya e Ukrainka, nella Siberia orientale, e sarà composta da diverse squadriglie di bombardieri strategici a lungo raggio, tra cui il Tupolev Tu­22M3 (nome in codice “Backfire”), attualmente impiegato contro le postazioni jihadiste in Siria, e il Tupolev Tu­95MS (nome in codice “Bear”), utilizzato nei pattugliamenti regolarmente effettuati dalle forze aeree russe nelle regioni dell’Europa Occidentale.

 

Russia_aerei_Pacifico

 

Il Tupolev Tu­22M3 è un bombardiere bimotore a getto adatto sia nel caso di attacchi al suolo che anti-nave, capace di trasportare un carico di armamenti elevato, tra cui cannoni 1 GSh-23L e missili aria-superficie 3 AS-4 Kitchen, 6 AS-15 Kent e 10 AS-16 Kickback. Mentre il Tupolev Tu­95MS, variante del vecchio Tu­95, è un velivolo a quattro motori a turboelica ed è in grado di montare una vasta gamma di armamenti tra cui cannoni 2 AM-23 da 23 mm e i missili da crociera aria-superficie AS-3 Kangaroo, AS-4 Kitchen, AS-6 Kingfish e AS-15 Kent.

 

Le “incursioni” russe all’interno del triangolo strategico Hawaii-Guam-Giappone non sono una novità. Già ai tempi della Guerra Fredda, infatti, quest’area veniva regolarmente “battuta” dai bombardieri dell’aviazione sovietica impegnati in operazioni di pattugliamento, spesso condotte nelle immediate vicinanze delle basi statunitensi. L’attività di pattugliamento dello spazio aereo dell’Oceano Pacifico da parte della Russia, dopo un’interruzione nei primi anni del Duemila, sembra essersi nuovamente intensificata nel corso degli ultimi due anni.

 

Tupolev Tu-22M3(Il caccia russo Tupolev Tu­22M3)

 

Come osservato dal generale Herbert Carlisle, comandante della U.S. Pacific Air Force, a partire dal 2014 (a poca distanza dallo scoppio della crisi Ucraina) la presenza della Russia nella regione si è mostrata sempre più frequente e decisa. Tra l’aprile del 2013 e il marzo del 2014, infatti, sono stati innumerevoli gli episodi di “scramble” (359 volte, più del doppio dell’anno precedente) effettuati delle forze di autodifesa aerea giapponese nei confronti di aerei russi che si erano avvicinati allo spazio aereo nipponico. Nell’ottobre 2015 è toccato invece a quattro caccia F/A-18 Super Hornet, decollati dalla portaerei USS Ronald Reagan, intercettare due “Bear” russi che stavano sorvolando – in totale silenzio radio – la zona dove si trovava la portaerei americana infrangendo, secondo le rilevazioni radar, il limite al di sotto del miglio nautico.

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