di Rocco Bellantone
@RoccoBellantone
Il suicidio nel carcere di Lipsia di Jaber Albakr, presunto terrorista siriano affiliato a ISIS arrestato il 9 ottobre con l’accusa di aver preparato un attentato a un aeroporto di Berlino, ha innescato nuove polemiche sulle carceri in Europa. Albakr era arrivato in Germania tra le migliaia di profughi entrati nel Paese nel febbraio del 2015. Secondo gli inquirenti tedeschi stava pianificando un attentato simile per dimensioni a quello di Parigi del novembre 2015 e di Bruxelles del marzo 2016, come dimostrato dal ritrovamento nel suo appartamento di un chilo e mezzo di Tatp (il tipo di esplosivo che era stato usato per le stragi in Francia e Belgio), e di una cintura esplosiva pronta per essere azionata. Denunciato da tre suoi connazionali, si è impiccato nella sua cella il 12 ottobre nonostante fosse sotto osservazione perché aveva minacciato di iniziare uno sciopero della fame a oltranza.
Lasciare che una possibile fonte da cui ottenere informazioni sulla rete jihadista a cui apparteneva si uccidesse è un errore che le forze di sicurezza di tutta Europa – e in particolare di Belgio, Francia e Germania dove si sono registrati gli attacchi più violenti negli ultimi due anni – non possono più permettersi.
Il caso di Albakr, al netto dell’accertamento delle responsabilità sul suo suicidio, dimostra che le carceri europee stanno diventando sempre di più luoghi fertili in cui soprattutto lo Stato Islamico sta reclutando nuove leve tra i carcerati di fede musulmana e, quando necessario, regolare conti in sospeso con chi ha tradito o potrebbe tradire la causa del Califfato.
Elementi interessanti in tal senso emergono da uno studio pubblicato l’11 ottobre dal think tank britannico ICSR (International Center for the Study of Radicalisation and Political Violence), con sede al King College di Londra, il cui titolo è Criminal Pasts, Terrorist Futures: European Jihadists and the New Crime-Terror Nexus.
Il rapporto è stato redatto esaminando i profili di 79 jihadisti rinchiusi nelle carceri europee dal 2001, provenienti da Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Francia, Germania e Paesi Bassi. Tutti hanno un passato criminale e tutti prima di essere arrestati sono andati a combattere in Siria o sono stati coinvolti in attacchi terroristici compiuti in Europa. I 79 jihadisti fanno parte dei circa 5mila europei occidentali che negli ultimi cinque anni si sono diretti in Medio Oriente per unirsi a ISIS e a Jabhat Al Nusra, gruppo qaedista il cui nome dal luglio scorso è Jabhat Fateh al-Sham.
(Il carcere di Lipsia in cui si è suicidato il presunto terrorista siriano Jaber Albakr)
Dei casi presi in considerazione, il 27% per cento di coloro che è stato in prigione è stato radicalizzato dietro le sbarre, mentre il 57% era stato in carcere prima di avvicinarsi ad ambienti jihadisti. Nell’analizzare le loro storie l’ICSR ha individuato un comune momento di passaggio in cui dal mondo criminale i soggetti hanno “fatto il salto” in quello jihadista. Il salto per tutti, come detto, si è consumato in carcere. Ma mentre per alcuni si è trattato dell’“evoluzione fisiologica” di un percorso contraddistinto dall’illegalità che era stato avviato molti anni prima, per altri la radicalizzazione è stata vista come la porta d’accesso alla redenzione per i crimini commessi in passato.
I ghetti jihadisti nelle prigioni
Secondo lo studio del think thank inglese, i canali di comunicazione all’interno delle carceri europee tra criminali comuni e jihadisti si sarebbero amplificati con l’emergere di cellule di ISIS in Europa. È qui che lo Stato Islamico negli ultimi due anni ha concentrato i maggiori sforzi per reclutare nuovi adepti, mettendo in secondo piano le moschee e le università, luogo quest’ultimo in cui il jihad non ha mai attecchito in modo profondo in Europa.
Il profilo del criminale da attirare nei “ghetti jihadisti” all’interno delle carceri ha delle caratteristiche precise: “giovane, arrabbiato e violento”, si legge nello studio, proveniente dalle classi sociali più povere e disagiate, con problemi di discriminazione alle spalle, dunque “maturo” per la radicalizzazione. Si tratta di profili particolarmente attrattivi per il Califfato, in quanto hanno già familiarità con le armi e sanno dove procurarsele nel momento in cui saranno chiamati all’azione.
Secondo il direttore dell’ICSR Peter Neumann, nelle carceri europee i confini tra criminali e jihadisti stanno diventando sempre più labili. “La prigione – spiega nello studio – sta diventando un luogo sempre più centrale in cui i jihadisti possono prendere nuovi contatti e allargare le loro reti. Data la recente impennata degli arresti e delle condanne per terrorismo siamo convinti che le carceri diventeranno un terreno sempre più fertile per il movimento jihadista”. Inoltre, prosegue Neumann, in buona parte dei casi il processo di radicalizzazione non va incontro a grossi ostacoli perché “molte di queste persone sono state già condannate per crimini violenti” motivo per cui “il salto verso l’estremismo violento non è poi così grande”.
La ricerca della redenzione
L’altro aspetto interessante dello studio, come detto, è quello della ricerca della redenzione. Emblematico è il caso di Ali Almanasfi, un siriano con cittadinanza britannica residente a Londra che ha combattuto in Siria dopo aver scontato una pena in prigione per aggressione violenta. Nel suo rapporto ICSR pone particolare rilevanza alle sue parole. “Io voglio fare qualcosa di buono nella mia vita – afferma Almanasfi – per una volta voglio fare qualcosa di puro” riferendosi alla possibilità di abbracciare la causa jihadista.
Conversioni come quella di questo siriano, secondo Neumann, sono molto più frequenti nel momento in cui a ispirare il processo di radicalizzazione è lo Stato Islamico. “Pensiamo che in questa fase lo Stato Islamico non abbia come principale obiettivo quello di essere un’organizzazione teologica. ISIS intende piuttosto incarnare la brutalità, la forza e il potere di cui questi giovani vogliono riappropriarsi”. Il messaggio lanciato nei loro confronti sul piano comunicativo si sta rivelando efficace nella sua inquietante semplicità. “Fondamentalmente – conclude lo studio – ISIS dice loro: puoi continuare a fare tutte le cose che hai fatto prima, ma ora per te c’è la possibilità di accedere al paradiso”.
L'articolo Come vengono reclutati i jihadisti nelle carceri europee sembra essere il primo su .
Fonte: http://www.lookoutnews.it/carceri-europa-isis-jihadisti-reclutamento/