di Alfredo Mantici
Mentre in Siria e in Iraq le truppe del Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi sono sulla difensiva, il 26 ottobre lo Stato Islamico è tornato a colpire in Somalia nei giorni in cui sono in corso le elezioni legislative. Un gruppo di una cinquantina di uomini armati ha occupato per poche ore la città costiera di Qandala, nella regione autonoma del Puntland nella parte orientale del Corno d’Africa. In un video pubblicato su YouTube dall’agenzia di stampa e di propaganda dell’ISIS, Amaq Agency, si possono vedere i miliziani entrare nella città e occupare gli edifici governativi sui quali hanno issato le bandiere nere del Califfato. Mentre i pochi soldati della guarnigione governativa abbandonavano la cittadina, seguiti da centinaia di abitanti del posto, i guerriglieri hanno tagliato le linee telefoniche per poi ritirarsi poco prima dell’arrivo di un forte contingente di truppe inviate sul posto da Mogadiscio.
Chi è il leader di ISIS nel Puntland
La nuova formazione aderente a ISIS è stata fondata nel 2015 da Abdulqadr Mumin, un cittadino inglese ex comandante delle milizie islamiste di Al Shaabab. Il gruppo di Mumin è nato da una scissione all’interno di Al Shabaab tra l’ala nettamente maggioritaria affiliata ad Al Qaeda e quella minoritaria che invece ha abbracciato la causa del Califfo Al Baghdadi con l’obiettivo di unire le forze con quelle dei “fratelli” siriani e iracheni.
Nato in Somalia nella regione semi-autonoma nord-orientale del Puntland, Mumin ha vissuto in Svezia prima di trasferirsi nel Regno Unito dove nel 2000 ha ottenuto la cittadinanza britannica. Conosciuto anche come Ikrima al-Muhajir, noto per la sua barba color henné, ha predicato per quasi dieci anni nelle moschee di Londra prima di fuggire in Somalia, nel 2010, perché accusato dalle autorità inglesi di radicalizzare i giovani del posto. Al suo rientro in Somalia è stato una delle figure di spicco di Al Shabaab fino a quando, nell’ottobre del 2015, ha pubblicamente dichiarato la propria fedeltà allo Stato Islamico, rifugiandosi con un gruppo di seguaci nella zona montuosa di Galgala nel Puntland.
(Abdulqadr Mumin, leader di ISIS in Somalia)
Tuttavia, secondo l’osservatorio SITE Intelligence Group, ad oggi Mumin riunisce sotto la sua autorità un numero irrisorio di combattenti, come confermato anche da Shahada News Agency, organo di informazione legato agli ambienti jihadisti con focus sulla Somalia. Contro di lui si sono mossi i suoi ex confratelli di Al Shabaab, la cui leadership rimane fedele ad Al Qaeda, schierando la temibile polizia segreta del gruppo nota come Amniyat. Nell’agosto del 2016 il Dipartimento di Stato americano lo ha inserito nella black list degli Specially Designated Global Terrorist.
Fin dove può spingersi il Califfato in Somalia
Secondo un abitante di Qandala, intervistato dall’agenzia Reuters, i miliziani dell’Isis al loro ingresso in città si sono rivolti agli abitanti dicendo loro di “non farsi prendere dal panico” e che erano venuti per “governare secondo i dettami della Sharia (la legge islamica, ndr)”. Finora gli islamisti del Califfato si erano limitati a operare nelle campagne del Puntland, regione nella quale non è presente alcun reparto del contingente di 22.000 uomini inviato con funzioni di peacekeeping e di sostegno al governo di Mogadiscio dalle Nazioni Unite.
L’ISIS ha tentato fin dal 2014 di convincere Al Shaabab a entrare nei suoi ranghi, ma i leader del gruppo somalo, all’inizio capeggiato da Ahmed Abdi Godane – un estremista musulmano che aveva combattuto come mujaheddin in Afghanistan negli anni Ottanta contro i sovietici dove aveva stretto amicizia con Osama Bin Laden – avevano preferito mantenere la propria indipendenza ideologica e operativa conservando tutte le caratteristiche di gruppo militante nazionale, evitando le contaminazioni “internazionaliste” derivanti da un’adesione al Califfato.
Da quel momento gli Al Saabab hanno contrastato gli uomini della milizia di Mumin impedendogli di prendere piede in Somalia. Quasi a voler dimostrare di essere sempre i leader dell’islamismo terrorista nel Paese, gli Al Shaabab hanno assassinato il 26 ottobre a Mogadiscio Siyad Mohammed, un colonnello dell’esercito somalo abbattuto da uomini incappucciati sulla soglia della sua abitazione.
Dopo l’occupazione di Qandala i guerriglieri dell’Isis si sono ritirati nelle campagne dell’entroterra. Ma il Califfato in Somalia rappresenta una minaccia reale. Il primo ministro somalo, Omar Abdirashid Ali Sharmarke, ha infatti dichiarato in un’intervista al settimanale americano Newsweek che “l’ISIS potrebbe essere la realtà di domani in Somalia”.
Forse si tratta di un’affermazione esagerata ma non si può non ricordare che anche il gruppo islamista nigeriano Boko Haram nel 2015 ha aderito al Califfato di Al Baghdadi e da allora ha esteso la sua attività con attacchi e attentati anche contro i Paesi confinanti con la Nigeria. Un potenziale asse con i somali dell’ISIS potrebbe creare condizioni di destabilizzazione in tutta l’Africa centrale consentendo al Califfato, attualmente in ritirata dalla Siria e dall’Iraq, di spostare pericolosamente il suo centro di gravità e di riprendersi dalle sconfitte subite negli ultimi mesi in Medio Oriente e in Nord Africa.
Le elezioni
In Somalia il 23 ottobre sono iniziate le elezioni legislative per rinnovare la composizione del parlamento, mentre il 30 novembre sarà la volta del voto per le presidenziali. Una volta eletto, il nuovo capo di Stato procederà a nominare il nuovo governo.
In questi mesi i jihadisti – spiega l’agenzia Dire – hanno minacciato più volte di condurre attacchi diretti ai seggi elettorali per destabilizzare le procedure di voto. Il primo effetto di queste ‘promesse’ è stato che la data di inizio delle elezioni (il 24 settembre) è slittata di vari giorni. Ma secondo l’addetto alla Difesa dell’Ambasciata somala in Italia, Scech Aues Maò Mahad, il gruppo è ormai impotente: “Al-Shabaab ha perso la sua battaglia ideologica. Le sue minacce sono pura propaganda”.
Un altro punto critico di queste elezioni – sollevato da alcuni osservatori internazionali – è il fatto che l’attuale legge elettorale accorda il diritto di voto solo ai 14mila grandi elettori, meno dell’1% della popolazione. Si tratta di un metodo elaborato sulla scia della stabilizzazione politica del Paese nel post guerra civile. In questo modo si è voluto infatti coinvolgere gli esponenti più anziani o influenti all’interno dei vari gruppi etnici in cui si articola la popolazione somala. Tale sistema però “sarà cambiato presto – garantisce Mao’ Mahad – ed è già in programma in vista delle prossime elezioni del 2020, data entro cui in Somalia sicuramente avremo il suffragio universale. Perciò tutti i cittadini potranno dire la loro sulla democrazia”.
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Fonte:
http://www.lookoutnews.it/somalia-isis-puntland/