martedì 15 novembre 2016

COP 22: perché l’Africa può (e deve) fare la sua parte

di Rocco Bellantone

@RoccoBellantone

 

Costretta a subire per secoli le conseguenze nefaste delle scelte sbagliate dell’Occidente, per la prima volta a Marrakech l’Africa sta avendo l’opportunità di prendere in mano il proprio destino. La COP22, la ventiduesima Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC, United Nations Framework Convention on Climate Change), in programma nella città marocchina dall’8 al 18 novembre, non è infatti solo una delle tappe del percorso intrapreso dalla comunità internazionale per riparare agli errori che hanno portato nel 2016 l’innalzamento del riscaldamento globale al livello record di +1,2 gradi rispetto all’era preindustriale (dati dell’Organizzazione meteorologica mondiale, ndr).

 

Per l’intero continente africano Marrakech rappresenta infatti un banco di prova ancora più importante, una verifica a trecentosessanta gradi della sua capacità di assumersi la responsabilità di affrontare una sfida come quella rappresentata dai cambiamenti climatici non più da una posizione subalterna ma, si spera, di parità rispetto agli altri partner internazionali. Che sia il Marocco a guidare questo processo non è un caso.

 

Alla vigilia di questo appuntamento il Regno di Mohammed VI ha dovuto far fronte alle proteste di piazza seguite alla morte di un pescivendolo rimasto ucciso nella città settentrionale di Al Hoceima in una situazione da chiarire all’interno di un autocompattatore di rifiuti, mentre tentava di recuperare il pesce che gli era stato confiscato dalle autorità locali. Il caso, su cui sono state avviate delle indagini per fare luce sui responsabili, ha spinto migliaia di persone a partecipare a manifestazioni e scioperi. È un segnale di disagio sociale che però non può oscurare quanto di buono è stato fatto dal Regno marocchino negli ultimi anni per permettere al Paese di superare indenne quelle primavere arabe che altrove hanno portato a guerre civili e violenze di massa. E la COP22, oltre i risultati che si attendono sul piano delle politiche ambientali, serve anche per rafforzare il ruolo di questo Paese come ponte di stabilità tra l’Occidente e l’Europa da una parte e l’Africa dall’altra.

 

Ostacoli e obiettivi

Partendo da questi presupposti, i lavori di Marrakech si sono aperti lo scorso 8 novembre con l’obiettivo di dare concretezza all’accordo che era stato raggiunto il 12 dicembre 2015 alla COP21 di Parigi. Entrata in vigore il 4 novembre, l’intesa prevede il contenimento dell’aumento della temperatura media del pianeta al di sotto della soglia di 2 gradi rispetto all’era preindustriale. Il traguardo successivo da porsi sarà di abbassare ulteriormente il livello a 1,5 gradi.

 

Per dodici giorni Marrakech sarà un enorme e dinamico laboratorio pensato per dare ordine e progettualità a idee e proposte di soluzioni, sviluppato in un’area estesa su 25 ettari di terreno, realizzata al costo di 90 milioni di euro. AI lavori partecipano 30.000 persone, 8.000 rappresentanti di oltre 3.000 ONG attive in ogni angolo del mondo e 1.500 giornalisti. Sono inoltre presenti le rappresentanze diplomatiche di 196 Paesi e più di 100 tra capi di Stato e di governo.

 

Salaheddine Mezouar
 (Salaheddine Mezouar, ministro degli Affari Esteri del Marocco e presidente di COP22)

 

Da oggi, martedì 15 novembre, dalle buone intenzioni si inizia a passare ai fatti con il primo incontro in cui verrà definita la strategia attuativa delineata a Parigi, ratificata nel settembre scorso a New York da 60 Stati. È da questa riunione che inizia la partita vera e propria con l’individuazione degli strumenti necessari che dovranno consentire ai Paesi che subiscono maggiormente le conseguenze dei cambiamenti climatici, quelli dell’Africa in testa, di affrontare il problema. Tradotto, significa erogazione di finanziamenti e trasferimento di nuove tecnologie e know how da parte dei Paesi più sviluppati.

 

È un passaggio fondamentale che però può incanalarsi nella direzione sperata solo se di pari passo si concretizzeranno altre azioni: dalla riduzione su scala globale di tutte quelle attività da cui derivano i principali incrementi delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, a una generale diminuzione dello sfruttamento di fonti fossili (petrolio, gas e carbone in primis), fino all’avvio di politiche serie e strutturate per regolamentare i rapporti tra Paesi importatori e Paesi esportatori di risorse convenzionali e favorire lo sviluppo di risorse rinnovabili.

 

È una sfida che, come detto, chiama in causa direttamente l’Africa, sulle cui immense risorse di petrolio e gas le compagnie energetiche internazionali continuano a investire senza che però vi sia un ritorno in termini di miglioramento delle condizioni di vita per le popolazioni locali. Ottenere un cambio di passo in tal senso dai cinque Paesi africani che fanno parte dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) – Algeria, Nigeria, Libia, Gabon e Angola – non sarà semplice, e non solo perché la Libia e buona parte della Nigeria sono minacciate da guerre e dal terrorismo jihadista. Per ottenere risultati concreti, facendo convergere verso gli stessi obiettivi da una parte innovazione green e nuovi modelli di business ecosostenibili e dall’altra gli interessi del mercato e un cambio radicale dei modelli di consumo, servirà arrivare a un compromesso con i colossi energetici (non solo occidentali ma anche russi e cinesi) e monitorare gli enormi flussi finanziari (almeno 100 miliardi di dollari all’anno, fino al 2020) che la comunità internazionale intende destinare al Sud del mondo per tagliare i traguardi fissati dalla COP21.

 

Le iniziative dell’Africa e il ruolo del Marocco

L’Africa, che secondo le stime dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) partecipa solo al 4% della produzione di emissioni di CO2 a livello globale, subendone però costi quantificabili in cifre che oscillano tra i 7 e i 15 miliardi di dollari all’anno, è pronta a fare la sua parte. La Banca Africana di Sviluppo (ADB), in base a quanto stabilito dal suo Nuovo Piano per l’Energia, si è impegnata a triplicare i finanziamenti destinati al contrasto ai cambiamenti climatici (circa 5 miliardi all’anno) e a portare fino a 12 miliardi entro il 2020 il valore degli investimenti nelle energie rinnovabili.

 

Il Marocco non starà a guardare, come dimostra il suo piano avviato da anni e mirato a sviluppare le energie rinnovabili per sostituirle con la produzione energetica tradizionale, e come è stato ribadito in apertura della COP22 da Salaheddine Mezouar, ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione marocchino e presidente della Conferenza. “Lo svolgimento della COP22 in Africa – ha dichiarato -riflette l’impegno di un intero continente nel contribuire agli sforzi globali a sostegno delle politiche per la salvaguardia del pianeta e la volontà di prendere in mano il proprio destino per ridurre le proprie vulnerabilità e migliorare le proprie capacità. È nostro dovere essere all’altezza di questa sfida globale e non deludere le aspettative delle popolazioni più vulnerabili. Un proverbio africano dice che ‘Il sole non ignora un Paese perché è piccolo’”.

 

Le difficoltà non mancano, così come sono in parte fondati i dubbi di chi teme che questa conferenza si possa concludere con tante promesse e poche iniziative concrete. Ma all’Africa finalmente è stata data la chance di avere un ruolo da protagonista: se non verrà lasciata sola, potrà dimostrare che tutto ciò ha avuto un senso.

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Fonte: http://www.lookoutnews.it/cop-22-marocco-marrakech/

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