I rapporti sospetti con i fratelli Gupta, membri di una ricca famiglia di imprenditori e uomini d’affari indiani, rischiano di spingere verso il capolinea il governo del presidente sudafricano Joacob Zuma. Mercoledì 2 novembre l’entourage del presidente ha deciso di ritirare il ricorso che aveva presentato all’Alta Corte di Pretoria nel tentativo di bloccare la pubblicazione di un rapporto che dimostrerebbe la verità delle accuse di corruzione mosse da anni nei confronti del leader dell’ANC (African National Congress).
Il temuto documento, che rischia di far deflagrare definitivamente lo scandalo ribattezzato dai media internazionali Guptagate, è stato così diffuso. A firmarlo è stata la signora Thuli Madonsela, capo dell’ufficio del public protector del Sudafrica (una magistratura istituzionale ma indipendente incaricata di indagare su eventuali reati commessi da governo e pubblica amministrazione), giunta al termine del suo mandato settennale non più rinnovabile.
Nelle 355 pagine del rapporto, intitolato La presa di controllo dello Stato, il public protector sollecita la Procura e la polizia a indagare su possibili crimini di corruzione commessi dal presidente e da altri esponenti di primissimo piano del suo governo.
Le accuse più eclatanti rimandano alle relazioni dirette che collegherebbero Zuma ai fratelli Ajay, Atul e Rajesh Gupta, partner d’affari di Duduzane Zuma (uno dei suoi figli) e a capo di un network di società in diversi settori in Sudafrica (minerario, trasporti, tecnologia e media) che continuano a espandere dall’inizio degli anni Novanta.
In cambio di cospicui favori economici, Zuma avrebbe consegnato ai Gupta le chiavi dell’economia del Paese, permettendogli anche di mettere bocca nella composizione del suo governo. Emblematico il caso di David Van Rooyen, uomo in strettissimi rapporti con gli imprenditori indiani, nominato lo scorso dicembre a sorpresa ministro delle Finanze salvo poi essere sostituito dopo pochi giorni da un profilo più adeguato all’incarico (il rispettato Pravin Gordhan) per evitare che il Paese finisse risucchiato in un nuovo scandalo con gravissime implicazioni sul piano della tenuta finanziaria.
Nel mirino delle indagini c’è anche l’acquisto di una miniera da parte della società Tegeta, di cui Duduzane Zuma divide la proprietà con i Gupta, operazione che sarebbe stata favorita dal presidente attraverso l’intervento di un suo ministro.
Si tratta solo di alcune delle numerose accuse mosse nei confronti del presidente. L’ultimatum posto al presidente è adesso l’istituzione di una commissione d’indagine entro i prossimi 30 giorni, il cui compito dovrà essere quello di indagare sulle accuse.
In attesa di nuovi sviluppi, la situazione per Zuma rischia di complicarsi ogni giorno che passa. Da giorni a Pretoria, la capitale amministrativa del Paese, e in altre città, proseguono manifestazioni antigovernative e scontri con le forze di sicurezza. In prima linea ci sono i sostenitori del partito dei Combattenti per la libertà economica che ieri hanno tentato di fare irruzione nel palazzo presidenziale. Mentre all’interno dell’ANC cresce il fronte di chi chiede le dimissioni del presidente alla luce dell’ultima pesante sconfitta subita alle elezioni locali dello scorso agosto. Ma Zuma in passato ha già superato indenne crisi come questa. Motivo per cui, al netto delle oggettive difficoltà che attraversa in questo momento, potrebbe far leva sul suo potere e sull’influenza che continua ad avere su un’estesa parte del Paese per concludere regolarmente il suo mandato fino alla scadenza prevista nel 2019.
(Fonti BBC, Jeune Afrique, Ansa, Askanews)
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