Siamo nel pieno dell’inverno e, per molti alberi ornamentali, specialmente quelli a foglia caduca, è la stagione ideale per effettuare le potature arrecando loro il minimo disagio. Ovviamente l’intervento andrà eseguito entro i limiti del necessario e applicando tutte le più moderne nozioni di arboricoltura.
Ma sono in molti a non pensarla così. Purtroppo è ancora abbastanza diffusa la credenza secondo cui gli alberi devono essere “tosati”, pesantemente e regolarmente, un po’ come le pecore o i nostri capelli. Si crede che i rami, se non opportunamente tagliati, crescano all’infinito, diventando pericolosi e invasivi. È l’ennesima declinazione dell’eterna lotta tra Uomo e Natura.
Gli effetti di questa credenza sul nostro patrimonio arboreo sono nefasti. Ogni anno, potatori improvvisati armati di motosega fanno scempio delle alberature delle nostre strade e delle nostre città, trasformandole in inquietanti schiere di tristi attaccapanni.
Con l’arrivo della primavera gli alberi si affrettano a ricoprirsi di foglie per poter utilizzare, attraverso la fotosintesi, la preziosa energia del sole nel periodo in cui questa è più abbondante. Ne hanno già consumata parecchia – e ne dovranno usare ancora – per chiudere le ferite delle motoseghe sarebbe davvero drammatico non potersi “sfamare” con il caldo sole dell’estate. Ma le foglie crescono sui rami e i rami non ci sono più. In un estremo tentativo di sopravvivenza gettano quindi, dai monconi che gli sono rimasti, un gran numero di sottili ramoscelli, e li ricoprono di enormi foglie. Esile surrogato della chioma perduta, questo scomposto groviglio è tutto fuorché solido e stabile, ma è tutto ciò che la pianta possiede.
Negli anni successivi cercherà di accrescerlo il più rapidamente possibile. Ogni singolo rametto conoscerà uno sviluppo considerevole, e in brevissimo tempo la nuova chioma supererà le dimensioni di quella originaria. Sia per ragioni di spazio che a causa della pericolosità dei nuovi rami, lunghi e pesanti ma debolmente inseriti, l’intervento di potatura – o, più precisamente, di “capitozzatura” – verrà dunque ripetuto fino a quando, stremato e impossibilitato a difendersi dai parassiti, l’albero morirà e dovrà essere abbattuto.
Le più comuni vittime di questo tipo di interventi, per lo meno in Italia, sono i tigli e i platani lungo le strade. Queste sono fra le piante più resistenti alle potature, e per questo anche le più maltrattate. Ciò non toglie che molte altre, decisamente meno resistenti, seguano lo stesso destino.
Purtroppo la capitozzatura, dopo essere stata perpetrata per decenni sulle alberature pubbliche, è entrata nell’immaginario collettivo, e molti privati, ritenendola una pratica corretta, hanno cominciato a richiederla nei propri giardini. È qui che, nella più assoluta libertà associata alla più assoluta ignoranza, si sono toccati gli apici per quanto riguarda il maltrattamento degli alberi, ed è qui che a volte la capitozzatura è stata estesa anche alle conifere. Ma almeno queste si ribellano, nell’unico modo che è loro concesso morendo.
Proprio perché sono così scarse la cultura e la sensibilità nei confronti del verde uno degli aspetti più difficili, ma anche più importanti, della professione dell’arboricoltore è l’educazione del cliente. A volte si ottengono dei risultati, altre no, ma vale sempre la pena provarci.
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