“Hoe sterk is de eenzame fietser die kromgebogen over zijn stuur tegen de wind zichzelf een weg baant?
Hoe zelfbewust de voetbalspeler die voor de ogen van het publiek de wedstrijd wint, zich kampioen waant?”
(trad. “Quanto è forte il ciclista solitario che curvo sul suo manubrio si fa strada contro il vento?
Quanto è consapevole il calciatore che sotto gli occhi del pubblico vince la partita, e immagina se stesso campione?”)
Il prologo in olandese – da un brano del cantautore Boudewijn De Groot – non è casuale. Chi ha un po’ di primavere in più e segue le vicende del pallone ricorderà sicuramente i gemelli van de Kerkhof, Willy e René. Qualche lustro fa si affermarono sul palcoscenico mondiale, in uno dei periodi d’oro – il primo, per la precisione – della nazionale arancione. Aggiungere altro sarebbe ridondante e fuori tema. Ma un dettaglio colpì all’epoca il sottoscritto. I medici sportivi proibirono ai gemelli – o a uno solo dei due? la memoria e l’universo Internet non sono di aiuto alcuno – l’uso della bicicletta, di cui erano appassionati, come da cultura e tradizione nederlandese. Niente timori di eventuali incidenti sull’asfalto (o magari anche). Più precisamente: le due attività presentano aspetti che non le rendono completamente compatibili. Soprattutto se una delle due è praticata a livello agonistico: gli sforzi sul sellino possono avere ricaduta antipatiche a livello muscolare sul rettangolo verde, e viceversa. Differenti, per gran parte, i muscoli interessati, diversi i tipi di sforzi.
Oltre che ciclista totale – la bici come mezzo del quotidiano, ogni giorno e con ogni condizione meteo –, il sottoscritto è anche (o soprattutto?) appassionato pedatore, ultradilettante per la precisione. I tanti chilometri sui pedali per tutta la settimana regalano un bell’apporto in termini di fiato per l’imprescindibile partita del sabato pomeriggio in quel del Parco di Monza. Ma quando i percorsi del quotidiano si fan troppo lunghi, e si abbinano ad altri cimenti sportivi, il risultato può essere negativo. Muscoli contratti e a rischio di stiramenti e dintorni, sentenzia direttamente chi scrive e confermano i fisioterapisti da tempo miei consulenti. Si impone quindi una pausa, e i trattamenti del caso agli arti inferiori; pausa che andrà a coinvolgere solo il capitolo pallone, ovviamente. Niente di drammatico: probabilmente solo qualche settimana senza scarpe bullonate. Tributo, ahinoi dovuto, alle due ruote.
Qualche chiosa, tuttavia, si impone. Il riferimento all’Olanda rimanda il sottoscritto ai Mondiali del 1974. Imbelle fanciullo, mi lasciai tentare dall’olandesite imperante. Vinse invece, come tutti sanno, il pragmatismo teutonico. Per chi scrive, l’esistenza ha riservato spesso una qualche incapacità nell’arrivare a concludere nelle cose, dando molto valore al percorso e poco al traguardo. L’olandesite del 1974 come sorta di impronta dell’infanzia. Con un quesito da e per sempre irrisolto: e se avessero vinto Cruijff e compagni, sarebbe cambiato qualcosa nel mio percorso?
Il termine “palla lunga e pedalare” vale l’inglese “kick and run”: la modalità di concepire il calcio da parte dei Maestri britannici nella tradizione. Malattia e sacro brivido dello scrivente, il pallone d’Oltremanica: ma queste, come si dice, sono altre storie.
Nota a margine Il bel brano di Boudewijn de Groot, da cui sono stati tratti i versi del prologo, si intitola Jimmy ed è ascoltabile in rete.
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