venerdì 4 novembre 2016

Brexit: perché il voto del parlamento non è una notizia

Il sensazionalismo con cui molti giornali esteri e italiani hanno dato notizia oggi, venerdì 4 novembre, della sentenza dell’Alta Corte di Giustizia del Regno Unito sulla Brexit, è fuori luogo principalmente per un motivo: il referendum del 23 giugno, vinto dal fronte del Leave con il 51,9% dei consensi, non era vincolante ma consultivo. Ciò significa che l’esito della consultazione popolare, per essere convalidato, dovrà essere approvato dal parlamento britannico.

 

Se non vi sarà questa approvazione, il governo guidato dal premier Theresa May non potrà avviare le procedure per uscire dall’Unione Europea. Tutto ciò vale a prescindere dal giudizio dell’Alta Corte di Giustizia britannica, che intervenendo a seguito di un ricorso presentato da un gruppo di persone guidato dall’imprenditrice britannica Gina Miller ha stabilito che il governo non può invocare autonomamente l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che regola le procedure di uscita di un Paese dall’Unione Europea.

 

A caldo, lo scorso 30 giugno, Ciro Sbailò, professore di Diritto Comparato all’UNIKORE di Enna e analista di Lookout News, su Italia Oggi aveva già inquadrato con precisione la situazione. “La notifica da Londra – scriveva – può arrivare solo con l’assenso del parlamento. Ma tale assenso non è automatico. Benché non codificata, la Costituzione del Regno Unito è una delle più rigide del mondo e il suo fondamento è il seguente: il parlamento è sovrano assoluto e niente e nessuno può vincolarne le decisioni […] Il referendum non è una fonte primaria, attivabile dai cittadini, come può esserlo in Italia, a determinate condizioni (raccolta di firme, materia trattata, formulazione dei quesiti ecc.). Esso può risultare giuridicamente vincolante solo se è il parlamento stesso a decidere in tal senso”.

 

Dunque, come previsto dalla Costituzione, l’uscita del Regno Unito dall’UE dipenderà dall’esito del voto della Camera dei Comuni – dove il fronte del Remain può contare non solo del consenso dei laburisti e dei parlamentari scozzesi ma anche di parte dei conservatori – e dal parere della Camera dei Lord, che non ha potere vincolante sul governo ma può comunque ostacolare il percorso della Brexit.

 

Il Regno Unito – concludeva in proposito Sbailò – è una democrazia parlamentare, dove però l’aggettivo è più importante del sostantivo. Nell’Europa continentale, il parlamentarismo è stato storicamente un mezzo per l’affermazione dei principi democratici. La storia britannica (in particolare, quella inglese) è diversa: prima c’è il parlamento, poi, col tempo, si sviluppa la democrazia, che, soprattutto a partire dalle riforme elettorali dell’età vittoriana, diventa uno strumento per legittimare il sistema parlamentare. In conclusione, la partita della Brexit resta interamente politica e ci sono ampi spazi di manovra, sia per le istituzioni della UE sia per il governo e il parlamento del Regno Unito”.

 

British PM Theresa May is welcomed by European Commission President Jean-Claude Juncker at the EC headquarters in Brussels(Il premier britannico May insieme al presidente della Commissione Europea Juncker)

L’iter legislativo 2016-2019

In attesa di conoscere l’esito del ricorso alla Corte Suprema britannica (il tribunale di ultima istanza) annunciato dall’esecutivo della May, ecco l’iter legislativo che il regno Unito seguirà da qui al 2019:

 

Autunno 2016 – Se il parlamento approverà l’esito del referendum, la Brexit verrà notificata al Consiglio europeo. In questa fase è prevista l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, inerente la clausola di recesso dalla UE. Inizia la negoziazione sulle tempistiche di uscita tra governo inglese e Consiglio europeo, organo istituito da Lisbona e composto dai capi di Stato o di governo dei paesi membri UE più il presidente della Commissione (senza potere di voto).

 

2016 – Paesi Bassi, Irlanda e Cipro tendono a essere strettamente allineati con il Regno Unito in termini di obiettivi politici, normativi e commerciali. Sarebbero i primi Paesi esposti alla possibilità di seguire l’iter inglese per uscire dall’Unione Europea.

 

2017 – Il Regno Unito continua a rispettare i trattati e le leggi dell’Unione Europea, ma non prende parte ai processi decisionali dell’Unione, in quanto ha negoziato un accordo di recesso e sono in corso trattative sulle modalità di gestione del suo nuovo rapporto con l’ormai Unione dei 27 Paesi membri.

 

2017 – Teoricamente, il parlamento inglese potrebbe ancora bloccare la Brexit, ma l’ipotesi è remota e dalle conseguenze nefaste per la politica britannica. Secondo la Camera dei Comuni “Se la Camera delibera contro la ratifica, il trattato può ancora essere ratificato se il Governo fornisce una dichiarazione che spiega il motivo per cui il trattato dovrebbe comunque essere ratificato e la Camera dei Comuni non delibera contro la ratifica una seconda volta entro 21 giorni (questo processo può essere ripetuto all’infinito)”.

 

2018 – Il Regno Unito cessa ufficialmente di essere un membro dell’Unione Europea e i rapporti commerciali con il mercato unico vengono regolati in base a quanto previsto dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (al di fuori del mercato unico), con l’applicazione di tariffe su import ed export.

 

2019 – Anche se molto improbabile, il Regno Unito in futuro potrebbe rinegoziare un nuovo ingresso nell’Unione Europea secondo quanto stabilito dall’articolo 49 del Trattato di Lisbona.

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Fonte: http://www.lookoutnews.it/brexit-parlamento-voto/

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