di Alfredo Mantici
Intorno alle 8.30, ora italiana, di mercoledì 9 novembre 2016 le emittenti televisive di tutto il mondo hanno dato la notizia della vittoria di Donald Trump nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Alle 8.42 la candidata democratica Hillary Clinton ha telefonato, come da tradizione, al suo avversario per riconoscere la sconfitta e porgergli le congratulazioni di prammatica.
Il successo di Trump è stato completato dalla vittoria dei candidati repubblicani nelle elezioni della Camera dei Rappresentanti e del Senato che conquistano la maggioranza dei seggi in ambedue i rami del Congresso. Ora che la campagna elettorale più avvelenata e sgradevole della recente storia americana si è conclusa con la sconfitta di una Hillary Clinton data per favorita da tutti i media “intelligenti” d’America e d’Europa, è possibile tentare di ragionare a mente fredda su un’elezione che farà varcare la soglia della Casa Bianca a un uomo che tutta la galassia giornalistica e tutto l’establishment di Washington – a cominciare dal presidente uscente Barack Obama – si sono ostinati fino a poche ore dall’apertura delle urne a definire come “unfit”, “inadatto”, a diventare presidente degli Stati Uniti.
Gli elettori americani, specialmente quelli dell’America “profonda”, quella poco conosciuta e frequentata dai guru del giornalismo americano ed europeo, hanno deciso altrimenti affidando le redini del potere a un presidente tanto lontano dai cliché del “politically correct” della costa orientale e della California progressista, quanto evidentemente vicino ai sentimenti di un ceto medio impoverito che ha dimostrato di essere insensibile rispetto agli appelli di tante star del mainstream e dello spettacolo credendo invece alla “rivoluzione” promessa dal tycoon di New York.
(New York, 9 novembre 2016: Trump festeggia insieme alla famiglia l’elezione a presidente)
Vedremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni se Donald Trump sarà in grado di mantenere le sue promesse, ma in queste prime ore dopo la chiusura delle urne possiamo individuare tre protagonisti della politica americana usciti sonoramente sconfitti da queste elezioni.
Hillary Clinton, la grande sconfitta
La prima sconfitta, ovviamente, è la candidata perdente Hillary Clinton che non è evidentemente riuscita, nonostante il sostegno pressoché unanime dei media del suo Paese e d’oltreoceano, ad allontanare da se l’ombra di un’ambizione sconfinata e dell’appartenenza a un establishment che, negli ultimi anni, al di là delle promesse e delle dichiarate buone intenzioni, è stato percepito come un bastione a difesa di quei grandi gruppi economici che hanno difeso tutti i loro privilegi a scapito di una massa di popolazione che ha visto progressivamente svanire il “sogno americano” del benessere garantito dal “sistema”.
(Hillary Clinton)
Hillary, nonostante i suoi sforzi (per gli spot televisivi di propaganda ha speso dieci volte più del suo avversario), non è riuscita a convincere delle sue buone intenzioni e delle sue capacità né i minatori dell’Iowa né i “colletti blu” della cintura industriale, evidentemente impauriti dal suo progetto di continuità con le politiche di un presidente come Obama che in otto anni non si è dimostrato capace di costruire, come promesso, “un’America migliore”.
L’eredità di Obama
Il presidente Obama è il secondo grande sconfitto di questa tornata elettorale. Dopo otto anni di presidenza e un premio Nobel per la pace conferito “sulla fiducia”, il primo presidente di colore della storia americana si è dimostrato, sia in politica interna che in politica estera, molto al di sotto delle aspettative generate dal fortunato slogan che lo ha portato alla Casa Bianca, “Yes we can”, uno slogan pieno di suggestioni che ha conquistato i liberal di tutto il mondo ma che non ha retto alla prova, impietosa, dei fatti.
(Il presidente uscente degli Stati Uniti Barack Obama)
Oggi, la stragrande maggioranza di quegli elettori che l’8 novembre si sono recati alle urne, ha un tenore di vita più basso di quello che aveva otto anni fa, è preoccupato per un fenomeno migratorio incontrollato e apparentemente inarrestabile e ha chiaramente percepito che la politica estera americana – dal Medio Oriente, ai rapporti conflittuali con la Russia e con la Cina – non ha certamente migliorato la posizione geopolitica degli Stati Uniti, diventati, nonostante i proclami di Obama, meno influenti e determinanti in tutti gli scacchieri più delicati.
Le promesse mancate di Obama e il suo protagonismo nella campagna elettorale della Clinton fanno del presidente uscente il secondo sconfitto di queste elezioni e il corresponsabile anche della debacle del partito democratico nelle elezioni per la Camera e per il Senato degli Stati Uniti.
I media incapaci di leggere la realtà americana
Il terzo grande sconfitto di questa mattina del 9 novembre è il sistema dei media, americani ed europei, che hanno partecipato alla campagna elettorale non come osservatori ma come supporter spesso acritici e sempre unanimi della candidata democratica. L’informazione sui temi della campagna elettorale è stata costantemente indirizzata verso la demonizzazione di Trump e l’idealizzazione della Clinton, spesso presentata al pubblico come una novella “Giovanna d’Arco” in lotta contro un pericoloso sporcaccione, molestatore incallito e impenitente.
Visti i toni delle campagne giornalistiche che in America e in Europa hanno scandito gli ultimi dodici mesi di campagna elettorale, è comprensibile che oggi, nei commenti della stragrande maggioranza degli opinion maker del giornalismo americano il termine più usato per parlare della vittoria di Trump, sia “stunning”, che sta a indicare qualcosa che “stupisce” e che “stordisce”. Stupiti e storditi sono i commentatori e quegli elettori democratici che, sulla scorta di sondaggi che a posteriori sembrano più che inaffidabili, chiaramente manipolatori, erano fino a poche ore fa convinti che Hillary Clinton avesse la vittoria in tasca.
“I media non volevano credere che Trump avrebbe vinto. Così hanno preferito guardare da un’altra parte”. Questo è il titolo di un’editoriale del Washington Post di questa mattina e sintetizza in modo imbarazzato lo strabismo con il quale il giornalismo ha seguito la campagna elettorale americana. Uno strabismo che, anche in Italia, andrebbe corretto più che con la chirurgia, con una buona dose di autocritica.
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Fonte: http://www.lookoutnews.it/trump-presidente-stati-uniti-hillary-clinton-barack-obama/
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