sabato 11 febbraio 2017

Alberi ornamentali: la potatura migliore è quella che non si vede

Cari lettori, nell’ultimo articolo mi sono già occupato di potature. Tuttavia, la questione è di tale importanza per la salute dei nostri amici alberi da indurmi, a distanza di un mese, a tornarci. Lo farò, però, da un altro punto di vista. Se la volta scorsa mi sono concentrato sul “cosa non fare” stavolta cercherò, senza pretese di esaustività, di affrontare la questione dal lato del “cosa fare”, nella speranza di salvare qualche albero in più da eventuali interventi scorretti e dannosi.

Ogni albero ha la sua potatura

Quando si parla di potature occorre innanzitutto fare una distinzione fondamentale: quella tra alberi da frutto e alberi ornamentali.
Nel caso dei primi, da cui dipende il reddito e talvolta la sopravvivenza di molte persone, le tecniche si sono affinate nei secoli fino ad arrivare a livelli di vera eccellenza. Questi interventi hanno un fine essenzialmente economico. Mirano dapprima a dare alla pianta una forma che favorisca la produzione e faciliti la raccolta, ed in seguito a mantenere alti e costanti i livelli di produzione per un certo numero di anni, al termine dei quali la pianta verrà sostituita. Tranne in alcuni casi – pensiamo agli ulivi – si ha quindi a che fare sempre con piante relativamente giovani, la cui fruttificazione viene migliorata per un certo periodo, anche a costo di accorciarne la vita utile.
Il caso degli alberi ornamentali è completamente diverso. Data però la scarsa centralità di questo tipo di piante per la nostra sopravvivenza, per lunghissimo tempo ha regnato il buio assoluto attorno a quali fossero i metodi migliori per occuparsi di loro. Solo in tempi recenti, anche grazie al fondamentale contributo di un personaggio come Alex L. Shigo, l’arboricoltura ornamentale ha cominciato ad assumere caratteri di scientificità. Senza alcuna intenzione di sminuirne la complessità né di misconoscere il valore dell’enorme numero di scoperte fatte, mi piace però notare che i suoi principi fondamentali possono essere riassunti in una celebre frase dell’architetto Ludwig Mies van der Rohe: Less is more.
Spesso si sente dire, nel mondo dell’arboricoltura, che “la potatura migliore è quella che non si vede”. Questa frase, che a molti potrà apparire paradossale, sintetizza in maniera perfetta lo spirito giusto con cui approcciarsi alla potatura degli alberi ornamentali. Se nel caso delle piante da frutto la potatura serve esclusivamente agli esseri umani (per ottenere più frutti), nel caso di quelle ornamentali essa deve rispondere contemporaneamente alle esigenze nostre e a quelle della pianta. La prima buona notizia è che normalmente queste coincidono: un albero sano sarà probabilmente più bello, più sicuro e vivrà più a lungo di uno malato. La seconda è che, nel corso di un’evoluzione durata milioni di anni, gli alberi hanno imparato, in molti casi, ad auto-potarsi.

Più chirurghi che barbieri

Benché questa capacità non sia perfetta e, come in tutti gli organismi viventi, permanga la possibilità di sviluppare difetti, il nostro compito ne risulta notevolmente sgravato nella quantità, ed elevato nella qualità. Non più interventi regolari e incondizionati ma puntuali e specifici. Il potatore viene ad assomigliare più ad un chirurgo che a un barbiere. L’unico intervento che di solito, negli ambienti urbani o antropizzati, va eseguito con regolarità è la pulizia del secco. Gli alberi fanno continuamente seccare alcuni rami in favore di altri meglio posizionati e, se non si vuole che cadano, vanno rimossi per tempo.
Purtroppo la realtà spesso è più complessa, e la convivenza degli alberi con la città può portare a dover eseguire degli interventi che limitino lo sviluppo delle chiome. Posto che queste situazioni sono sempre originate da errori di valutazione pregressi, tali potature, cosiddette di riduzione, devono comunque essere effettuate secondo modalità ben precise e non devono tradursi in tagli indiscriminati ai quali, piuttosto, trovo preferibile l’abbattimento.

 

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