di Ottorino Restelli
Il Centro Tunisino per la Ricerca e lo Studio sul Terrorismo (CTRET) ha pubblicato nei giorni scorsi i risultati di uno studio sui gruppi jihadisti attivi in Tunisia. Un’analisi interessante, utile per inquadrare il fenomeno non solo in Tunisia ma anche in tutto il Nord Africa e in Medio Oriente. Secondo le stime ufficiali, negli ultimi due anni sarebbero stati infatti almeno 3.000 i tunisini partiti per raggiungere le roccaforti dello Stato Islamico in Siria e Iraq. Senza dimenticare che alcuni degli attentati terroristici più cruenti rivendicati da ISIS si sono verificati proprio in Tunisia (i due più eclatanti sono stati quelli del 2015 al museo nazionale del Bardo e nella spiaggia di Sousse) e che il radicamento di ISIS in Libia è stato reso possibile per il passaggio di migliaia di jihadisti proprio da questo Paese.
Lo studio del CTRET è stato condotto su un pool di 1.000 tunisini arrestati e incarcerati tra il 2011 e 2015. Dalle verifiche è emerso che il 40% di questi elementi erano giovani laureati o diplomati, il 3,5% era rappresentato da donne, mentre 751 erano giovani sotto i 35 anni.
Lo studio ha analizzato anche come i gruppi jihadisti reclutano nuovi adepti. Il sistema più utilizzato è quello dell’indottrinamento individuale, effettuato tramite imam e predicatori, dentro e fuori le moschee, in particolare quelle gestite da salafiti, che si rivelano come il luogo privilegiato di trasmissione e propagazione di una versione fondamentalista e jihadista della religione musulmana. Seguono i social media e i media tradizionali.
Lo studio ha concluso che il 69% dei jihadisti tunisini monitorati era stato addestrato in Libia e il 21% in Siria, grazie alla facilità di poter viaggiare senza problemi da Tunisi in Turchia e da lì, poi, entrare in Siria.
L’immagine della Tunisia che emerge dalla ricerca del CTRET è dunque preoccupante, visto soprattutto l’alto potere attrattivo che l’ideologia jihadista ha mostrato di sapere esercitare sui giovani under 35, ovvero i nati durante il boom economico e demografico esploso in tutto il Maghreb negli anni Ottanta e Novanta. Una fase che, non a caso, molti analisti paragonarono all’epoca a una vera “bomba ad orologeria” che negli a seguire sarebbe scoppiata nelle mani dei governi tunisini se non sarebbe stata gestita adeguatamente per tempo.
Nell’unico Stato interessato dalle primavere arabe del 2011 mostratosi capace di tradurre tensioni e rivendicazioni popolari nell’avvio di una nuova e inclusiva stagione politica, quella jihadista è una minaccia di fronte a cui chi guida questo Paese non può voltarsi dall’altra parte. Una prova fondamentale soprattutto per un partito come quello degli islamisti di Ennahda, formazione oggi al centro del processo democratico tunisino.
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Fonte: http://www.lookoutnews.it/tunisia-isis-jihad/
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