di Priscilla Inzerilli
Non solo gli Stati Uniti, ma il mondo intero si sta preparando alla “rivoluzione” che ha preso il via con l’elezione del nuovo presidente americano Donald Trump. Gli effetti destabilizzanti della potenziale ascesa del tycoon newyorchese alla Casa Bianca si erano fatti sentire sulle piazze asiatiche già ben prima che venissero divulgate le proiezioni ufficiali del voto, anche se a elezione avvenuta la reazione è stata positiva.
Al di là degli scossoni che stanno investendo i mercati finanziari internazionali, come fisiologica reazione al cambio di establishment di una potenza economica mondiale del calibro degli USA, in molti ora si stanno domandando se, e in che misura, tale evento riuscirà effettivamente a scuotere le fondamenta degli equilibri politici ed economici globali.
Una cosa è certa: chi tra gli americani ha scelto Trump, lo ha fatto in segno di deciso rifiuto di uno status quo che caratterizza ormai da decenni la politica estera e interna di Washington. Ciò appare chiaro anche agli occhi di quei capi di Stato, come il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping, che vedevano nella candidata democratica Hillary Clinton un avversario politico più prevedibile e dunque temibile, dimostrando invece di avere un occhio di riguardo nei confronti del tycoon, pur considerando la sua scarsa esperienza politica.
(Il segretario di Stato americano uscente John Kerry a Pechino, 27 gennaio 2016)
Il confronto con la Cina
La classe dirigente cinese appare preoccupata di un’eventuale virata protezionista degli USA e dell’imposizione di sanzioni sul commercio; tuttavia la Cina potrebbe trarre vantaggio dall’elezione di Trump proprio per la possibilità che il nuovo presidente americano, da uomo d’affari qual è, decida di concentrarsi sugli aspetti economici, lasciando in secondo piano questioni più controverse come i diritti umani o le politiche di sicurezza in Asia, in particolare in merito al rispetto del principio della libertà di navigazione e alle dispute territoriali che infiammano le acque del Mar Cinese Meridionale.
Il presidente Xi Jinping ha definito le relazioni tra Cina e Stati Uniti “di alto valore”, augurandosi di poter avviare al più presto una collaborazione reciproca “per estendere la cooperazione Cina-USA in ogni campo, a livello bilaterale, regionale e globale, sulla base dei principi del non-conflitto, rispetto reciproco e collaborazione vantaggiosa per tutti”.
I rapporti con Putin: nemici come prima?
Una posizione analoga è quella di Mosca, che se da una parte guarda con favore alla nuova linea annunciata da Trump durante la campagna elettorale (maggiore concentrazione sulla politica interna americana, ripristino del dialogo con la Russia per combattere congiuntamente lo Stato Islamico, disimpegno nella questione ucraina, rifiuto di condannare i raid russi su Aleppo), dall’altra il Cremlino sa bene che dovrà avere a che fare non con un singolo interlocutore politico, ma con l’intero apparato governativo americano.
(Putin e Obama al G20 di Antalya, Turchia, 16 novembre 2015)
L’alleanza con il Giappone
Preoccupato per le conseguenze economiche, ma fiducioso sul piano delle relazioni politiche, si è mostrato invece il Giappone, che ha accusato immediatamente la prospettiva di un forte apprezzamento dello yen, che deprimerebbe la Borsa nipponica, ma soprattutto il timore nei confronti della posizione critica di Trump nei confronti del Trans-Pacific Partnership (TPP), l’accordo di libero scambio tra gli Stati Uniti e i principali attori economici della regione Asia-Pacifico (Cina esclusa), che adesso rischia di restare lettera morta.
Dopo le congratulazioni di rito, il premier giapponese Shinzo Abe si è premurato di sottolineare che “la stabilità della regione Asia-Pacifico, che è una forza trainante per l’economia globale, porta pace e prosperità agli Stati Uniti. Giappone e USA sono solidi alleati legati fermamente da valori universali come libertà, democrazia, diritti umani di base e Stato di diritto”.
La questione Nord Corea
Fortemente preoccupate anche le autorità governative della Corea del Sud, che hanno convocato il Consiglio sulla sicurezza nazionale per discutere “il potenziale impatto” della nomina a presidente di Trump, il quale in più di un’occasione ha mostrato un atteggiamento conciliante nei confronti dello spauracchio dell’Asia, la Corea del Nord, dalla quale era stato definito un “candidato lungimirante”, che avrebbe potuto contribuire alla riunificazione della penisola.
I rapporti con Duterte, il “Trump d’Asia”
Le espressioni più calorose nei confronti del neo eletto presidente Trump sono state però senza dubbio quelle rivoltegli dal suo omologo filippino – non a caso da molti definito il “Donald Trump dell’Asia” – Rodrigo Duterte, salito all’onore delle cronache nel corso degli ultimi mesi per la sua feroce politica contro i crimini legati ai traffici di droga.
(Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte)
Il presidente filippino si è congratulato vivamente con Trump, inviando inoltre un comunicato nel quale “auspica di lavorare con la nuova amministrazione per migliorare le relazioni tra le Filippine e gli Stati Uniti, relazioni ancorate sul rispetto reciproco, sul reciproco vantaggio e sull’impegno condiviso nei confronti degli ideali di democrazia e di Stato di diritto”. Sicuramente un passo in avanti, se si considerano i toni che erano invece stati riservati al presidente uscente Obama, definito senza mezze misure un “figlio di p…” per aver sollevato critiche riguardo ai metodi sanguinari adottati dal “giustiziere” Duterte nella sua lotta al narcotraffico nelle Filippine.
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Fonte: http://www.lookoutnews.it/trump-russia-cina-asia/
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