Più volte, anche da questo quotidiano online, vi abbiamo messo in guardia dai facili festeggiamenti. In Italia quando si parla di ambiente nessuna vittoria deve essere mai data per scontata e men che meno per definitiva.
In molti ci avevano creduto, i genovesi per primi. Niente fumo nell’aria, nessuna nave carica di carbone in arrivo. La centrale a carbone sembrava chiusa per sempre. Così, tra l’altro, aveva dichiarato Enel, annunciando non solo la dismissione dell’impianto di Genova, ma anche di altri ventitré sparsi nel Paese.
Promessa non mantenuta. L’ultima sbuffata risaliva allo scorso 13 agosto, ma ora la centrale di Sampierdarena sta per essere riaccesa. Sollecitato da Terna, la società che gestisce la rete ad alta tensione in tutta Italia, il Governo ha acconsentito al riavvio. Dal Ministero per lo Sviluppo Economico fanno sapere che si tratta di un’emergenza. Dopo la scoperta di una anomalia nel “cappotto” di cemento che protegge il reattore nella centrale in costruzione a Flamanville, in Normandia, i francesi hanno deciso il fermo straordinario di un terzo degli impianti nucleari. E siccome manca energia è stato necessario ricorrere ai ripari. Insomma in Francia chiudono le centrali atoniche, da noi si riaprono quelle a carbone.
Una scusa che non regge, secondo il WWF, «perché nel Nord Italia ci sono moltissime centrali a gas a ciclo combinato, più efficienti e meno impattanti dal punto di vista sanitario e ambientale». L’associazione ha annunciato una segnalazione all’Unione Europea poiché la richiesta di riapertura di Genova si configurerebbe addirittura come una violazione del libero mercato. «Altri operatori – spiegano in una nota – potrebbero difatti essere interessati a soddisfare la domanda di energia francese o il mancato acquisto dell’energia nucleare d’oltralpe a fini speculativi, visto che viene rivenduta a caro prezzo e importata praticamente a costo zero, non perché ne abbiamo bisogno».
Un rapido addio al carbone è il primo passo da compiere per tener fede all’Accordo di Parigi sul Clima. Alla vigilia della COP22 di Marrakesh, sempre il WWF aveva presentato il report “Politiche di uscita dal carbone in Italia”. Tra le varie azioni indicate figurava anche il suggerimento di seguire il modello norvegese che, grazie a opportuni strumenti normativi, persegue la trasparenza e il monitoraggio degli investimenti compiuti dalle istituzioni pubbliche e private nei settori maggiormente responsabili degli effetti sul clima. Ben altra strada, almeno per ora, sembra seguire il nostro governo.
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