Giorni fa la mia lavatrice smette di funzionare. Era già successo un paio di anni fa. Allora si era rotta la cinghia. Ne avevo acquistata una nuova per 10 euro e in un paio di ore – lo so è tanto, ma non possiedo alte doti manuali – l’avevo sostituita. Era tornata a funzionare a meraviglia.
Il nuovo guasto invece si rivela più complicato da risolvere. Sostituire il selettore dei programmi è un gioco da ragazzi per molti, non per me. Così decido di chiamare un tecnico: tra costo fisso per l’uscita, pezzo di ricambio e manodopera mi anticipa che potrei arrivare a spendere anche 200 euro. Preciso che l’apparecchio ha 14 anni. «Ne compri uno nuovo!», esclama senza più esitazioni.
Ancora dubbioso sulla scelta da compiere mi reco da un rivenditore. La scelta è ampia e in effetti con una cifra appena superiore mi viene offerto uno dei prodotti a buon mercato. Spiego che sto ancora valutando se è il caso di tenermi la vecchia lavatrice, ma l’addetto alle vendite mi spiega che non avrebbe senso perché, oltre ai costi di riparazione, continuerei a consumare molto di più. A quel punto parte una lunga filippica sulle classi energetiche. Alla fine me ne esco con una lavatrice fiammante, classe A+++. Mi sento sereno e civile: risparmierò sulla bolletta e concorrerò alla riduzione degli sprechi.
Ma è davvero così? Come mi è stato spiegato, il nuovo elettrodomestico, più efficiente e performante, consumerà fino a oltre il 30% in meno del precedente. Ma in termini energetici quanto è costato produrlo e poi trasportarlo? E quanto costerà smaltire la vecchia lavatrice?
Forse un vero risparmio per le mie tasche e per l’ambiente l’avrei ottenuto sostituendo il pezzo di ricambio con le mie mani. Poi avrei continuato a far funzionare la macchina in modo accorto, solo quando davvero necessario, a basse temperature e senza lunghe e inutili centrifughe, nelle ore più idonee.
La società dei consumi, però, impone di consumare per abbattere i consumi.
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