Nuova luce sull’alimentazione del Megalodonte, il gigantesco squalo preistorico si nutriva anche (e forse prevalentemente) di piccole prede. Alcuni ricercatori, coordinati dai paleontologi dell’Università di Pisa, hanno rinvenuto nel deserto costiero del Perù meridionale dei resti fossili con segni riconducibili ai denti del suddetto mega predatore marino.
L’esistenza del megalodonte (Carcharocles megalodon), vissuto tra 20 e 3 milioni di anni fa e diventato famoso per essere il protagonista (forse) del romanzo “Lo squalo”, è testimoniata per lo più da fossili di vertebre e denti di dimensioni spaventose (fino 17 cm).
Il suo parente più prossimo attualmente vivente è lo squalo bianco (Carcharodon carcharias) anche se in tempi abbastanza recenti si è deciso di creare un genere distinto (Caracharocles).
Fino ad oggi si è sempre pensato che il Megalodonte si nutrisse di grandi cetacei, visto che un predatore con dimensioni che arrivavano a superare i 15 m poteva aver bisogno di qualche tonnellata di carne ogni giorno. Le recenti scoperte, pubblicate sulla rivista Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, hanno però portato alla luce resti di animali relativamente piccoli con i segni inconfondibili del morso del megalodonte. In particolare foche e cetacei di dimensioni ridotte come ad esempio la Piscobalaena nana, che misurava probabilmente 4-5m.
Si tratta di una scoperta che cambia notevolmente la nostra conoscenza del megalodonte, anche perché supportata da un corposo record fossile che rappresenta l’unico modo per ottenere informazioni dirette su questo animale, sempre che non decidiamo di sposare la teoria di qualche criptozoologo fantasioso (diventata anche documentario) che ne ipotizza l’esistenza ancora oggi.
Illustrazione: Silvia Venturi
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